mercoledì 31 dicembre 2008


Un angelo che ha aperto le ali


Questi sono giorni di festa, di gioia, di speranza…..
Mi chiedo, però, se questi sentimenti che fanno vibrare l’anima non possano essere vissuti ogni giorno, con ogni persona che ci è accanto.
Voglio di seguito riportarvi alcuni pensieri dedicati a una gran bella persona, Gabriele.
Un ragazzo, un angelo, volato in cielo circa un anno e mezzo fa, a soli 19 anni.
Un ragazzo che passava la sua vita, i suoi giorni, i suoi minuti a donarsi agli altri, a regalare un sorriso o una battuta...la sua casa era sempre aperta per gli amici, per chi tra le lacrime cercava un abbraccio.
Un ragazzo morto in un incidente stradale dopo una settimana di servizio alla mensa dei poveri romana.
Un ragazzo che amava la vita e il prossimo, ed è proprio la sua fiducia senza fine che l’ha portato alla morte.

Di Gabriele ricordo i suoi “rasta” dorati, il suo sorriso, la gioia che esprimeva quando passava lungo i corridoi della scuola….le ultime volte che ho incrociato il suo sguardo furono i giorni prima dei temuti esami di maturità, quando inseguiva gli insegnanti per strappargli le domande d’esame.
Grabriele ha lasciato un segno indelebile in ogni persona che lo ha incontrato.

Vi lascio alcuni pensieri:

Mi hai salvato la vita, rubandomi scherzosamente il posto per farmi stare più scomodo in macchina, precedendomi in quello che doveva essere il mio cielo. ”Comu” resterai per sempre mio “fratello”, quello che con filosofia mi ha fatto capire che la vita ha un senso, che ritroviamo di continuo nelle esperienze belle o brutte che viviamo. Spero che tu ora sia accanto a tutti noi, come hai fatto in vita, quando non negavi un sorriso o un saluto a nessuno. Infine, prego che per te i giorni a Roma con me e Archis siano stati indimenticabili, come lo saranno sempre per noi, e per quei poveri e disagiati cui abbiamo trasmesso un po’ del nostro bene. Un abbraccio forte, fortissimo... Per sempre, tuo inseparabile fratello, compagno e amico.
(Ortiga)

“Comu”, non proverò a farti sentire speciale. Ti raggiungo nella tua taverna, davanti al camino, seduti e disarmati. Scendo molto più in basso, in intimità. Dammi un ricordo per ogni prospettiva che mi hai infilato in tasca, e io uscirò dalla tua taverna, da casa tua, dal nostro giardino. Camminerò, portando te sulla mia spalla e non fiateremo, proprio come adesso, per esser pronti a cogliere nel vespro la musa ed avere poi tutta la forza per darci dentro. Dentro, fino in fondo.
(René)

Gabriele, amico mio…Penso di averlo chiamato così solo poche volte. Mi mancano i suoi occhi, dolci come quelli di un bambino alla scoperta. E’ così che lui voleva essere: sempre in crescita, perchè diventare adulti "maturi" voleva dire fermarsi e diventare troppo sicuri delle proprie idee significava essere ottusi. Mi diceva di fidarmi di lui, e delle persone, e io terrorizzata dalla vita, non ci riuscivo mai fino in fondo. Una volta mi disse: "Prova a chiedere a qualcuno perchè non sei mio amico? Vedrai, non saprà cosa risponderti!". Forse è proprio questa sua fiducia negli altri che ha contribuito a consumarlo, ma senza di essa non sarebbe stato così speciale e unico. La tua anima ce l’avrò dentro di me, nei miei ricordi. Ora, tutto quello che ti dovevo dire prima che partissi per Roma lo sai. Come dice Oscar “voglio pensare all’angelo che ha aperto le ali”.(Beatrice)


A GABRIELE
In questo silenzio
Che lacera l’anima,
non un sorriso,
non una parola.
Ricordi come assalti
Si addensano sul viso.
Vuoto immane,
sconfinato.
Amore
Che supera
Il dolore.
Tu,
meravigliosa creatura,
speciale in ogni cosa.
Più pallido il volto
E nei tuoi occhi
Il segno che è già sera.
Addio “Comu”.
(Gioia)


La piccola stellina non c'è più. Tu che ci amavi tutti incondizionatamente e donavi il tuo sorriso a chiunque ne avesse bisogno. Spontaneo, dolce e sempre solare, mi hai sorretta in molti momenti difficili e riuscivi sempre a tirare fuori il meglio da tutti. Piccolo “Comu”, mancherai tantissimo a tutti noi. Ti ameremo sempre e ti avremo sempre dentro al cuore con i tuoi ricordi. Ciao piccola stellina luminosa.
(Wendy)


“Comu”, vorrei chiederti tante cose. Vorrei ridere ancora con te. Vorrei abbracciarti forte e dirti che ti voglio bene. La mattina, prima di aprire gli occhi, mi capita di trovarmi davanti il tuo sorriso, bellissimo, spontaneo e un po’ buffo; scendono lacrime ma poi sorrido anch’io con te, perché ti sento vicino e vivo. Per questo la mia teoria del puzzle non regge: dicevo che tutti noi formiamo un grande puzzle dove ogni tassello da solo non serve a niente, ma insieme agli altri è essenziale. Credevo che tu fossi quel tassello, al centro, che ora manca e che ci impedisce di finire il gioco. Mi bagliavo! “Comu” tu sei l’immagine che noi, uniti, componiamo!(Shari)


Lui era uno dei pochi ad avere un raggio di sole nel viso. Qualsiasi cosa facesse, ti metteva allegria. Lui, che i pregiudizi non sapeva neanche dove fossero di casa, e parlandoci potevi sentirti spogliato d'ogni cosa, tenendo il cuore in mano, ti ascoltava. Tutte le lacrime che abbiamo versato, sono come i sorrisi che c'hai regalato. “Comu”, ci mancherai..
(Caterina)


Morte, sinonimo vigliacco di sofferenza.
È uno specchio in cui ci riflettiamo che cade e va in frantumi.
La nota stonata nella perfetta melodia della vita.
È quel qualcosa che ci viene strappato senza motivo.
È il silenzio assordante dell'assenza di chi raggiunge l'ultimo traguardo.
(Ilaria)


Le lacrime mi continuano a scendere. Cerco un appiglio, una risposta che non trovo. Ci lasciammo dicendoci che ci saremmo sentiti al tuo rientro. Ma non sei più tornato. Ho il tuo sorriso impresso indelebile nella mente e nel pieno della disperazione ho scritto queste righe: "Una pagina felice si brucia, un lamento di dolore. Profondo, buio, lacrime mi corrodono il viso, mi annebbiano la mente, mi chiudono il cuore. Un saluto d'affetto a chi ora è volato. Un bacio mai sbocciato sulle labbra di un fiore sciupato quando il sole era ancora alto."
Addio Gabriele.
(La tua poetessa della luna)

giovedì 25 dicembre 2008

Internet…..risorsa o pericolo???

Navigando in internet, oltre a trovare molte notizie utili ed interessanti, ci si può facilmente imbattere in siti che a prima vista possono sembrare innocui e divertenti, ma in realtà sono molto pericolosi per lo sviluppo di bambini e ragazzi.
In questo “luogo”, infatti, qualcuno può fingere di essere ciò che non è. Il ragazzino quindicenne che parla nella chat line è davvero chi dice di essere?
Un bambino può fornire informazioni personali a persone estranee o organizzare un incontro con nuovi “amici” senza sapere realmente chi essi siano; alcuni bambini sono diventati vittime di pedofili o di persone che dopo averli convinti ad incontrarli hanno abusato di loro; le e-mail possono essere usate per infastidire o disturbare; ci si può imbattere in immagini violente e scioccanti che rappresentano ad esempio scene di incidenti o di tipo macabro;
alcuni siti forniscono informazioni su attività criminali quali la preparazione di bombe o l’abuso di droghe; la pubblicità su Internet, realizzata con immagini colorate e accattivanti, invoglia ad acquistare materiale on-line; l’utilizzo di carte di credito per acquisti di prodotti e servizi on-line potrebbe rivelarsi non molto sicuro; alcuni siti forniscono informazioni e immagini che potrebbero essere pericolose, ad esempio di tipo pornografico, anche mentre il bambino sta effettuando una ricerca normale e del tutto innocua.

Quando si devono preoccupare i genitori?
Internet è un luogo divertente ma pieno di estranei. Esistono reali pericoli e la possibilità per un bambino di venire in qualche modo sfruttato o addirittura subire abusi.
Trascorrere troppo tempo seduto di fronte ad un computer non è una sana abitudine e può causare danni da stress prolungato, affaticamento degli occhi e problemi di isolamento.
La ricerca ha dimostrato come la violenza, presentata nelle varie forme di comunicazione video come film, giochi al computer, televisione e internet, abbia un impatto negativo sui bambini, in particolar modo i più piccoli. I bambini sottoposti ad una “dieta” massiccia e continua di violenza attraverso i media corrono tre tipi di rischio:
imparare ad avere un comportamento violento
diventare insensibili di fronte alla violenza su altre persone
avere paura ad affrontare la vita di tutti i giorni

…..stiamo attenti a fare un buon uso della tecnologia, senza rimanerne intrappolati (da internet)

lunedì 15 dicembre 2008


CHI MUORE (Ode alla vita)

di Pablo Neruda



Lentamente muore chi diventa schiavo
dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.


Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su

bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni,

proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno

sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti

all'errore e ai sentimenti.


Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul

lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un

sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai

consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi

non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente

chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i

giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.


Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non

fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa

che conosce.


Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo

richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida

felicità.

domenica 14 dicembre 2008

Per chi non riesce più a trovare uno spiraglio di luce…

Stamattina mi hanno raccontato la storia di una giovane sedicenne. Una ragazza normalissima. Stamattina questa ragazza è andata a scuola e ha mostrato alle sue compagne di classe 35 tagli al polso fatti da lei, la sera prima, con una forbice dopo aver litigato con un ragazzo. Questo racconto mi ha fatto davvero rabbrividire. E per questo ho deciso di scrivere qualcosa per tutte quelle persone che si trovano in un momento di difficoltà, uno di quei momenti in cui tutto attorno a noi si vede solo buio, in cui a qualsiasi lato o aspetto della propria vita si pensi si vede solo dolore, in cui la speranza se ne è andata altrove. Credo che ognuno abbia vissuto, chi prima o chi dopo, un momento del genere. Ma la vita è davvero un cammino misterioso in cui dietro l'angolo ci sono avvenimenti e novità che possono cambiarla da un momento all'altro. Dietro l'angolo si può nascondere una piccola fiammella da difendere e che può rischiarare anche i momenti più duri e piano piano cambiare in meglio la nostra vita. Basta avere la pazienza di andare avanti, "sempre avanti", fino a quando questo bagliore arriverà. A volte sembra non voglia arrivare mai ma poi statene certi arriva e tutto può cambiare.
I motivi per cui si può arrivare a pensare o a fare un gesto del genere sono i più svariati: la solitudine, l'incomprensione, l'emarginazione, la mancanza di affetto, un fatto negativo, e molti altri. Tuttavia bisogna avere la forza di affrontarli tutti e bisogna trovare la speranza in attesa che qualcosa cambi. Di vita ce n'è una sola, non si sa cosa può capitare domani, quindi non ha senso buttarla via perché va male oggi. Mi viene da pensare ad una mia ex compagna di classe delle superiori, Francesca, che ha lottato tutta la sua breve vita contro la fibrosi cistica per avere una vita "normale" come tutti noi, per viverla al massimo. Dobbiamo trovare tutti quella forza, quella voglia di vivere, di rendere migliore la nostra vita anche quando sembra tutto inutile, anche quando sembra non ci sia fine al male, al peggio.
Spesso la sofferenza che porta a pensare al suicidio sta in una colpa che pesa come in un macigno sulla coscienza. Io vorrei dire a chiunque avesse un una grave colpa che lo attanaglia che tutti possono riscattare la propria vita. Per chi crede, la misericordia e il perdono di Dio sono infiniti se c'è il pentimento. E in questo caso una confessione può cambiare la vita. Per chi invece non crede si può riscattare la propria vita cambiandola in meglio, cominciando a fare il bene. Tutti abbiamo diritto ad una seconda possibilità.
In ogni caso vorrei dire che è importante cercare qualcuno vicino a noi con cui parlare, con cui sfogarsi, con cui cercare una soluzione ai nostri problemi e alle nostre sofferenze. Non dobbiamo farci problemi o vergognarci, spesso chi ci è vicino sarà contento di aiutarci. A volte però ci sono persone sole che non hanno nessuno con cui parlare. A queste vorrei dire che in ogni chiesa possono trovare un sacerdote che sarà sicuramente contento di aiutarvi anche se non siete credenti oppure si possono chiamare numeri come Telefono amico (800848444 da telefono fisso,gratuito) a cui risponderà sicuramente qualcuno che sarà disponibile e felice di aiutarvi o con cui parlare dei propri problemi.
Vorrei poi dire che spesso stiamo male perché pensiamo solo ai nostri problemi e ci chiudiamo nel nostro dolore, avendo una visione distorta della realtà e non dando il giusto peso alle cose. Per questo è importante pensare più a tutto quello che abbiamo (non solo in senso materiale) e che molti altri non hanno invece che pensare a ciò che non abbiamo noi.
Per concludere vorrei dire a chiunque sta soffrendo che gli sono vicino e dedicargli la nuova canzone "Meraviglioso" dei Negramaro:



E' vero
credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardando l'acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù uh
D'un tratto
qualcuno alle mie spalle
forse un angelo
vestito da passante
mi portò via dicendomi
Così ih:
Meraviglioso
ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia
meraviglioso
Meraviglioso
perfino il tuo dolore
potrà guarire poi
meraviglioso
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
Meraviglioso
il bene di una donna
che ama solo te
meraviglioso
La luce di un mattino
l'abbraccio di un amico
il viso di un bambino
meraviglioso
meraviglioso...
ah!...
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!
Tu dici non ho niente
Ti sembra niente il sole!
La vita
l'amore
meraviglioso
La notte era finita
e ti sentivo ancora
Sapore della vita
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
Meraviglioso
LA VITA
di Madre Teresa di Calcutta
La vita è un'opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, accettala.
La vita è un'avventura, rischiala.
La vita è felicità, meritala.
La vita è la vita, difendila.

sabato 13 dicembre 2008


Droghe “leggere” o maschere letali?

Io credo non esistano le droghe “leggere”, esistono “le droghe”, e sono tutte da evitare. I tempi mutano, le persone cambiano, e le droghe si misurano con le debolezze, si ammodernano sulle fragilità. Così è stato venti anni fa per l’eroina, così è ai giorni nostri per la droga in pillole, quella che non consegna più gli uomini ai pugni dritti nello stomaco, ma rende i più giovani attori formidabili di storie inventate da scrittori invisibili.
Giovani rubati in corse folli contro il tempo che non basta mai, per poi rimanere inchiodati ai bordi di qualche rettilineo, o per buona sorte su qualche sedia a rotelle, fino a diventare vecchi per i rimorsi. Il fumo delle sigarette brucia i polmoni fino a morire di cancro. Il vino ubriaca fino a morire alcolisti. Qualche spinello non brucia i polmoni, non rende alcolisti né drogati, ma in quel volo che fa ridere intontiti c’è la sonnolenza della ragione, c’è il via libera della stanchezza che non placa alla discesa ma avventura senza attenzione, alla disavventura già prossima!
Prigione mortale….il fumo.

Ecco un articolo di “taglio scientifico”, visto che parliamo del livello neurologico e psicologico su cui vanno ad agire le sostanze componenti il fumo.
Si ricordino i fumatori che il cervello è come un reattore chimico dove miliardi e miliardi di atomi si combinano in molecole la cui continua modificazione permette di pensare, ricordare, ipotizzare, valutare le informazioni provenienti dall’ambiente, ecc.. Un meccanismo delicato al quale, come per qualsiasi altro ingranaggio, basta l’intromissione di un granello di sabbia per funzionare male, si tratti di tabacco, droga, alcol e altro ancora. Torniamo al fumo con una piccola nota: gli Indios dei Carabi, scopritori del fumo, sono soliti dire: Al loro arrivo in America, gli europei ci hanno portato l’alcol. Noi ci siamo vendicati insegnando loro a fumare. Scambio magnifico di regali, non c’è che dire! Quindi prima di accendervi la prossima sigarette... meditate e, con uno sforzo di volontà, riponete l’accendino. Le informazioni pubblicate qui sotto sono un collages di notizie e segnalazioni “pescate” in siti Internet curati da associazioni antitabacco.

Per fronteggiare uno stress prolungato l’organismo produce, attraverso la stimolazione dell’ipofisi, delle sostanze naturali (ormoni) ubicate nelle ghiandole surrenali. Nei fumatori di breve corso è la nicotina che induce l’ipofisi a produrle rapidamente. Sennonché, quando con il susseguirsi dei pacchetti, subentra l’assuefazione è necessaria sempre più nicotina per mettere in circolazione la stessa quantità di ormoni: così, se si fuma di meno, si ha l’impressione di essere più stressati (crisi di astinenza). Dose standard di nicotina per chi è assuefatto: 35-40 milligrammi (un grammo di nicotina è da 5 a 10 volte più efficace nel produrre cambiamenti di umore rispetto ad una uguale quantità di anfetamine).
La nicotina è una droga perché crea dipendenza psichica. A 10 secondi dai primi “tiri” essa raggiunge il cervello dove fa alzare il livello delle sostanze responsabili dell’assuefazione come la dopamina, un “neuro - trasmettitore del piacere”. A questo punto le cellule nervose mandano al cervello un messaggio analogo a quello che inviano le cellule di chi assume eroina, cocaina, anfetamine e alcol: senso di appagamento, di euforia e di soddisfazione. Di solito, la dopamina prodotta viene poi demolita dall’enzima mao-B ma nel fumatore la nicotina interviene ad impedire all’enzima di svolgere il suo compito. Così il senso di piacere si prolunga e quando infine viene riassorbita e si esaurisce, basta fumare ancora per far ricominciare il ciclo perverso.
La differenza tra nicotina ed eroina sta nel potenziale di dipendenza: se infatti la nicotina è più tossica dell’eroina, questa è più coinvolgente perché, oltre agli effetti gratificanti, ha più marcati effetti cognitivo-incentivi rispetto alla nicotina. Il significato emotivo che, attraverso la dopamina assumono gli stimoli, è amplificato con l’eroina.
Il fumo è una forma mimetizzata di suzione, al pari del pollice, della cicca, della bottiglietta di birra, del chewing gum aiuta a contenere l’ansia, al pari di altre droghe, dell’alcol, della discoteca, e persino della famiglia. Il fumo genera anche una sorta di schiavitù dei gesti e delle abitudini (tipiche sono le frasi del fumatore: Se non ho una sigaretta mi sento impacciato, non so dove mettere le mani).
La nicotina è uno dei più rapidi e potenti veleni che si conoscano (contiene benzene, benzopirene, formaldeide, cloruro di vinile e altre sostanze). Ne bastano 60 milligrammi per uccidere un adulto in pochi minuti (una sola sigaretta ne contiene 10 milligrammi) e quindi sarebbero sufficienti poche sigarette per provocare gravi malesseri se l’organismo dei fumatori abituali non si fosse assuefatto a tollerane quantità anche maggiori. Malattie a breve termine: nausea, vomito, aumento del colesterolo, della pressione, degli atti respiratori, delle pulsazioni, dell’acidità gastrica (anche ulcere allo stomaco), della motilità intestinale (diarrea), dell’adrenalina, palpitazioni, tosse, tremori alle mani, restringimento delle arterie...
Malattie a lungo termine: cancro della cavità orale, della gola, dell’esofago, del polmone (questo anche nei fumatori passivi), del pancreas, dei reni, della vescica, dell’utero, bronchite cronica, asma, enfisema, attacchi cardiaci, arteriosclerosi, ictus, ulcera duodenale, varicocele, impotenza, amenorrea, parto prematuro. Probabile accelerazione della caduta dei capelli, maggior rischio di cataratta agli occhi, ingiallimento dei denti, invecchiamento della pelle...(da internet)

venerdì 12 dicembre 2008


Una moda da combattere: l’alcolismo

Il dilagare delle tossicodipendenze e dell'interesse da esse suscitato dal punto di vista politico e soprattutto sociale (la droga è tabù nel senso di male) ha relegato in secondo piano il problema dell'alcolismo, fenomeno la cui gravità nel nostro paese è certamente ben maggiore.
Di drammatica evidenza quotidiana è infatti l'azione distruttrice dell'alcol sul piano somatico e del funzionamento della personalità: l'assunzione smodata e prolungata di alcolici è responsabile di un alto tasso di mortalità ed in un numero notevole di soggetti conduce spesso a patologie organiche e psichiche dai livelli altamente invalidanti. Lo stereotipo però dell'alcolista quale individuo derelitto, abbandonato a se stesso ed in grado di sopravvivere solo con piccoli espedienti come i barboni da strada, è fuorviante e non corrisponde alla realtà.
L’assoluta maggioranza vive una vita normalissima, ha famiglia, una casa ed un lavoro, amici ma solo chi li frequenta assiduamente si accorge del problema, capisce che “quello” beve. L’alcolismo è trasversale ai ceti sociali o alle categorie professionali, non si beve di più o di meno perché si è impiegati piuttosto che artigiani oppure di buona famiglia anziché no. Tutti, però, finiscono per manifestare inefficienza e inadeguatezza di fronte alle responsabilità ed ai propri compiti.
La prima a subirne le conseguenze è la famiglia dove l’alcol dipendente riverbera il proprio disagio in varia misura a partire dai silenzi carichi di astio ai maltrattamenti fino al calo del tenore di vita cui, dall’altra parte, si risponde con rabbia repressa, evitamento e vergogna. I figli, a loro volta deprivati di un modello familiare valido e socialmente accettabile, subiscono queste influenze traumatiche e distruttive andando incontro ad uno sviluppo abnorme della personalità. In loro compaiono frequentemente atteggiamenti relazionali e modalità di comportamento di tipo nevrotico o psicopatico.
Altro aspetto preoccupante, l’abitudine a bere viene trasferita spessissimo ai figli: oltre il 50% degli alcolisti ha, oppure ha avuto, uno od entrambi i genitori affetti dalla stessa patologia.

Elisa Zancanella, descrive così il “suo Trentino”:
Trentino: montagne, polenta e luganeghe e un buon bicchiere di vino. Equazione forse un po’ banale e limitante ma comunque inconfutabile.
Sulle montagne non ci sono dubbi, sulla passione dei trentini per i piatti sostanziosi (sarà l’aria salubre di alta quota...) nemmeno ma è sull’inclinazione all’alcol che ci vogliamo soffermare. E non a caso. È recente infatti la notizia secondo cui la media della nostra regione in quanto a ubriachi al volante è la più alta d’Italia. E già ad inizio 2004 i quotidiani locali avevano pubblicato un’inchiesta sull’aumento vertiginoso del consumo di bevande alcoliche tra giovani e giovanissimi.
Insomma, brutte notizie. Vada per le calorie della luganega e anche per un sano bicchiere di rosso ai pasti (che, ce lo dicevano sempre i nostri nonni, fa buon sangue e se ce ne fosse stato bisogno adesso ce lo confermano anche i dottori) ma l’alcolismo è qualcosa di molto diverso. Alcolismo significa degrado della società, significa piaga sociale, significa soprattutto che nella nostra città tanto ricca, protetta e incontaminata c’è qualcosa che non va.
Sapere che più della metà dei giovani di Trento il sabato sera lo passa a bere, significa avere davanti agli occhi il disagio di un’intera generazione. Non siamo qui a dare giudizi e a fare i soliti allarmismi ma non si può far finta di niente davanti a un fenomeno che purtroppo non è nuovo dalle nostre parti. Anzi, nel nord est da sempre l’alcol è stato parte integrante della tradizione e della cultura. È un fenomeno che, a differenza ad esempio della dipendenza dalle droghe, viene affrontato spesso, se ne parla molto ma sempre con quell’aria del tipo “cosa vuoi che sia per una ciucca ogni tanto”! In fondo i genitori di un ragazzo trentino che durante il weekend torna a casa un po’ alticcio, poco stabile sulle gambe e con l’alito non precisamente profumato, da giovani hanno fatto la stessa cosa e non ne fanno un dramma. Effettivamente la sbornia passa il giorno dopo, magari a costo di qualche attacco di nausea e di emicrania fulminante, ma passa. Ma i danni collaterali non sono pochi e non solo in termini fisici. Il rischio non è solo quello di andarsi a schiantare con la macchina ma anche quello di non riuscire a fare a meno di quella spinta in più che un superalcolico può dare per divertirsi. E le serate di molti ragazzini della nostra regione purtroppo sembrano proprio poter decollare solo se condite da una belle bevuta in compagnia. Vero è che a Trento di spazi per i giovani ce ne sono pochi, anzi pochissimi, per chi rimane in città senza macchina le alternative non sono un granché e le iniziative per ravvivare la serata dei teenager trentini non sono molte. Abbiamo forse caratterialmente più difficoltà di tanti altri nostri coetanei di altre zone d’Italia a socializzare e a lasciarci andare, per aprirci abbiamo bisogno di perdere un po’ di freni inibitori. Ma non è una scusa buona per attaccarsi alla bottiglia! Una birra in compagnia non ha mai fatto male a nessuno e alzare un po’ il gomito può capitare a tutti. L’importante è che non diventi un’abitudine ne tantomeno l’unico passatempo per un sabato sera da ricordare. (da internet)

giovedì 11 dicembre 2008

A proposito di ecstasy ed estasi…
Questo articolo di Valter Mezzavilla mi ha lasciato senza parole:

Premetto che ho assunto circa una decina di anni fa ecstasy e droghe tutte. Ho vissuto sulla mia pelle, dentro ogni cellula del mio corpo, il desiderio, il bisogno di sballo, di oblio e trascendenza; tendenze che ritengo derivassero dalla mia incapacità di vivere sentimenti, di esperire il dolore, di sostenere la mia carica umana. Cercavo e cerco di essere consapevole.
Quanto invece deve essere smarrita e impaurita una cultura che cerca di convincersi che sia la famosa (fumosa) "assenza di valori" la causa della diffusione delle droghe e di ogni altro male...
Ci nascondiamo negli anfratti della mente, invece di guardare in volto la realtà: cerchiamo la certezza di risposte che non mettano in discussione l'origine delle nostre miserie, e così facendo scaviamo la nostra fossa ancor più profonda; ci aggrappiamo a panacee cui chiediamo di illuderci di avere ancora un qualche controllo sulle cose, e paghiamo caro.
Esiste un uomo "secondo natura" e un uomo fatto di artifizio; questi avverte una profonda nostalgia dello stato di natura che è estatico, e tenta di recuperarlo come può, buonanima, con i suoi poveri mezzi di allievo senza maestri da quando abbiamo scacciato le scuole sacre dal mondo. Per inciso la scoperta della new-age è un tentativo di recupero di queste, ancorché un lucroso business.
L'estasi in pasticca favorisce stati espansi di coscienza, facilità di relazione sociale, forza, fascino, empatia, in altre parole, naturalezza. Crollano le barriere dell'ego, crollano le maschere, si è perfetti. E' un modo artificiale e dannosissimo che l'uomo (artificiale) tenta per avvicinarsi... a cosa? A nient'altro che a se stesso. Forte, pieno di fascino, sciolto, empatico, perfetto insomma, come è nella sua natura essere.
E allora, invece di raccontarci storie sul disagio "giovanile", sulla "generazione senza sogni" (e pazienza se i sociologi dovranno andare a coltivare la terra, e genitori, insegnanti e liberomercatisti rottamare i loro sensi di colpa) invece di blaterare con vocine stridule di illusori "valori" da propinare ai giovani, placebo che durano un mattino, prodotti per i pavidi che temono la vita e che si faranno ancora più male quando scopriranno che il dottore non gli ha dato che una pastiglietta colorata, piuttosto aiutiamolo, questo povero essere alienato da se stesso che ricerca la pienezza della esperienza umana, a vivere secondo la sua natura: troverà l'estasi in ogni attimo, in ogni incontro, troverà il divino in sé, nell'altro e in ogni cosa, senza rischiare di bruciarsi il cervello, intossicare il corpo divenendo un morto vivente, o... "zombi".
“Ho provato a smettere ma è stato come un incubo”

Intervista a Gloria, 20 anni, dipendente da pastiglie e droga.
Gloria si “cala” tutti i santi giorni. Ogni mattina, appena sveglia, butta giù due pasticche e poi inizia la giornata. Si lava, si veste, va in biblioteca, lavora, e così via... Ma se ogni mattina non prende le sue pasticche, sta male.
Ha provato a smettere, a cambiare tipo di pasticca, ad essere “vera” per un giorno: “È stato un disastro” racconta Gloria “non mi pareva di essere veramente al mondo, tutto era lontano, complicato, i suoni avevano uno strano, eco... È stato un incubo”.
Quante volte hai provato a smettere?
In tutto una decina. Ho iniziato quando avevo 17 anni. Dopo un mese di cale quotidiane ho deciso di smettere. Sono andata con mia madre da un dottore. Mi diede delle pillole che avrebbero allentato l’astinenza e mi salutò.
Come fu quella tua prima disintossicazione?
Non me la ricordo. Non fu terribile, se lo fosse stata me lo ricorderei. Diciamo che la passai troppo liscia per pormi delle domande. Era iniziato il gioco del “ma tanto quando voglio pianto lì”.
E poi?
Poi mi sono fidanzata... sul serio dico... O almeno per quanto sul serio si possa fare a 17 anni... Lui mi implorò di non ricascarci, e sono rimasta pulita per qualche mese. Purtroppo, però, se da un lato la presenza di quel ragazzo mi ha aiutata, dall’altro mi ha spinta di nuovo verso il basso: avevo identificato un rapporto droga/amore... Lui non voleva che mi calassi, io lo amavo, non lo facevo. Lui mi rispondeva male, mi faceva arrabbiare, io mi alteravo, mi calavo.
Questa volta quanto sei andata avanti?
Cinque mesi.
Poi hai smesso di nuovo... perché?
Perché, anche se forse nessuno lo crede, piace anche a me svegliarmi la mattina pulita, in una stanza ordinata, pensare al caffè al mattino, appena sveglia. Mi sembrava semplice... La mia classica visione del mondo: se farò così allora tutti i miei problemi saranno risolti.
Ma ti sbagliavi...
Esatto. Quella disintossicazione fu terribile. Mi fece sudare, tremare, mangiare. Facevo incubi terribili. Mi mancava il respiro, piangevo, vomitavo. Dopo un’estate passata da una crisi di nervi all’altra (però pulita) sono rientrata nell’abitudine... E per me abitudine = pasticche. Ne ho prese a centinaia... e non ho cambiato il mondo...
Che significa “non ho cambiato il mondo”?
Beh, non si nasce tossici. E non è vero che i tossici sono persone ignoranti che non hanno un obiettivo nella vita. Sono sempre stata attivissima per le lotte sociali, pensavo che potevo darmi completamente per una causa comune... Ci credevo veramente... Ma non ci sono mai riuscita: cioè, mi sono data interamente... ma non alle cause sociali! Un giorno mia madre mi ha vista in condizioni pietose e mi ha portata in comunità... Non sono riuscita a stare nemmeno lì. Non erano le regole. Non so cosa non andava. So solo che volevo morire. E sta andando avanti così da allora. Tutti i giorni della mia vita sono un inferno regolato da pasticche e caffeina. E nessuno si accorge di niente. A volte mi sento perfino furba. Ma non è così...
E non pensi di poter cambiare? Insomma, smettere per sempre?
Ho avuto talmente tanta paura durante l’ultima disintossicazione (incubi, allucinazioni, ecc) che non credo avrò mai il coraggio di riprovarci. Le comunità mi fanno sentire troppo folle. Le pasticche sono la mia unica via d’uscita, l’unica opportunità per sopravvivere. (da internet)

Ecco qui la storia di Gloria, la storia di una ragazza rassegnata a morire lentamente, giorno dopo giorno.
Che cosa si può fare per aiutare persone terribilmente sfiduciate come questa ragazza? Gloria non si fida di nessuno, ha conosciuto con la droga la parte peggiore della natura umana, e non ha intenzione di abbassare la guardia.
Credo, però, che per ogni parte di disumanità c’è un’ umanità disposta ad aiutarla, senza volerla anche fregare...
….scegliamo di vivere e non accontentiamoci solo di sopravvivere!!

mercoledì 10 dicembre 2008


Sonia racconta un anno di sé

Un paio di giorni fa, sistemando un po’ di materiale delle varie attività passate dell’ Azione Cattolica, mi è capitato tra le mani questo testo, che per me è molto significativo.

Sonia spalanca gli occhi al futuro con una sola, grande certezza: lottare per vivere e non soltanto per sopravvivere!

Il 2007 ci sta lasciando, così, in un attimo è arrivato l’ultimo giorno di dicembre che tra festeggiamenti, canti e balli ci annuncerà il nuovo anno. Il tempo è trascorso troppo veloce, quasi non mi sembra di aver vissuto, ma di cose ne ho fatte e alcune cicatrici sono sempre lì per ricordarlo.
Posso dirlo, è stato un anno forte, con forse troppi alti e bassi, una vera e propria gincana di emozioni che mi stanno aiutando a crescere e a rendermi migliore.
Spesso penso di non essere ancora pronta per diventare grande ma è inevitabile: gli anni passano e piano, piano, anch’io maturo seppure con molta paura dentro di marcire troppo in fretta.
Il periodo della mia innocenza è già terminato e ora non voglio sprecare nemmeno un attimo della mia gioventù. Voglio viverla ma viverla davvero, sentire che ci sono, per poter svegliarmi un giorno e dire che la vita non mi è sfuggita tra le mani, che ne ho fatto quello che mi sono sentita in ogni momento, senza risentimenti.
Scrivendo queste righe inevitabilmente una parola mi tormenta la mente, il “rischio”! Di questo non ci si può liberare, è sempre in agguato per ogni decisione, piccola o grande che sia: se si vuole, infatti, provare sentimenti veri di libertà, di indipendenza, di amore, bisogna essere pronti ad affrontare anche il rovescio della medaglia.
Ho capito che soffrire serve e, quando penso non ne valga la pena, mi odio perché, se ho sofferto, è perché per me contava. Non mi piace starmene con le mani in mano, voglio vivere, rischiare, provare rabbia, dolore... amore. Amo la vita, amo amare, amo cadere e poi rialzarmi!
Finora ho vissuto così. Naturalmente mi sono ferita, ma ho anche saputo medicarmi con cura, non dico che tutto sia passato, per le ferite più profonde ci vorrà più tempo. In questo anno mi sono distaccata molto dalla mia famiglia. Non vivere con loro mi sta aiutando ma, il non essere ancora economicamente indipendente, mi dà un senso di incompletezza.
Per la mia vita, ora che sono ancora giovane, non voglio monotonia e stabilità ma meno timori, voglia di avventurarmi, di progettare, di essere. La cosa più importante che non vorrei mai smettere di fare, però, è sognare e sperare!!
Voglio fare della mia vita un viaggio per conoscere culture diverse, per conoscere il mondo e completarmi.

martedì 9 dicembre 2008

Giovani al volante ed il rispetto della vita

Giuseppe "Pino" Melchionna si racconta….

Sulle strade rispettate la vita!
Anche quest’anno le strade trentine sono state teatro di drammatici incidenti nei quali la protagonista assoluta è stata la morte di vite giovani.
Ogni volta che i mezzi d’informazione raccontano questi fatti tragici non posso non pensare a quella che è stata la mia storia personale, di sopravvissuto da un incidente della strada. Anch’io, come quei giovani, stavo vivendo una notte in compagnia di amici: festeggiavamo l’addio al celibato di uno di noi. C’era allegria, in parte dovuta ai brindisi che hanno accompagnato la cena. La macchina era veloce, la musica a tutto volume riempiva l’abitacolo. Quanti di voi hanno vissuto questa situazione? Di colpo lo schianto e alcune ore più tardi mi sono trovato su un letto d’ospedale, in terapia intensiva: le mie gambe, le mie braccia non rispondevano più. Oggi, a 25 anni di distanza, vivo la mia disabilità con speranza e cercando di trasmettere, soprattutto ai giovani, un senso di responsabilità nei confronti della propria esistenza. Da alcuni anni partecipo ad incontri all’interno delle scuole medie e superiori del Trentino proprio per portare la mia testimonianza. Senza la presunzione di poter salvare delle vite umane, ma consapevole che il mio esempio possa far riflettere.
Nei dialoghi con i giovani e leggendo le cronache dei giornali sono arrivato alla conclusione che purtroppo sono molte le persone che non hanno rispetto per la sacralità della vita, una sacralità intesa anche in senso laico. Bere per vincere la timidezza, correre per sentirsi importanti nel gruppo sono alcuni dei comportamenti che i giovani mi raccontano nei nostri incontri. E, poi, quei particolari ricorrenti nelle stragi sulle strade: la velocità e l’orario. Di fronte alla morte e al dolore delle famiglie il rispetto non deve mai venire meno, tuttavia non possiamo nascondere certe responsabilità. Si possono togliere tutte le curve dalle strade, gli alberi, ma la responsabilità comunque di chi si mette al volante e di chi siede con lui: i passeggeri, come ho avuto modo di dire tante volte agli studenti delle scuole, hanno il diritto-dovere di costringere chi sta guidando a moderare la velocità a costringerlo a fermarsi o, provocatoriamente, scendere dalla macchina.
Non è sufficiente invitare i giovani ad andare piano in auto, a non bere e a non rientrare a casa troppo tardi. Non è sufficiente se nessuno ha insegnato loro il valore della vita. La vita è fatta (anche) di limiti: i nostri giovani dovrebbero imparare a conoscerli prima che il senso d’onnipotenza, sotto forma di acceleratore, li trascini verso la morte. Troppe volte le strade diventano luoghi di sfida, luoghi dove si cerca di esorcizzare i problemi e le sofferenze che inevitabilmente fanno parte della nostra quotidianità. Io, paradossalmente, convivendo con la sofferenza ho imparato ad accettarla e quindi ad amare e apprezzare la vita e non ritengo la mia esistenza di serie B per il fatto di essere su una carrozzina. Non si deve però arrivare a questa estrema conseguenza perdere l’uso delle gambe o peggio ancora la vita stessa per comprendere il valore sacro dell’esistenza.
Stragi da sabato sera

Cinque ragazzi tra i 15 ed i 20 anni hanno lasciato la vita in un fosso, altri quattro l’ hanno persa sull’autostrada. Si parla di scoppio di una gomma, di stress da discoteca, di droga e alcol, di velocità.
Ma che importa oggi? Ormai sono solo un rimpianto di padri, madri, fratelli, nonni, rassegnati a far scivolar via una lacrima al loro ricordo! Otto mila morti l'anno e di 1000-1500 nuovi disabili non sembrano un deterrente significativo, anzi, pare che solo la minaccia di rimanere senza patente, abbia convinto molti a rischiare meno al volante.

Qui di seguito riporto una poesia di Paride Franceschini di Povo, fotografo, disegnatore e pittore, che sembra aver fissato con le parole quelle tragiche scene e quel ricordo indelebile e amaro che lasciano.

Il sabato delle stragi

Suonerie di cellulari,
tutti pronti per partire
autoradio digitali,
grande meta: "il divertire"
C'è bisogno di evasione
anche in tanta confusione,
luci box a gran volume
la routine ormai è "barlume"
E nel "vuoto" che è interiore,
tanto per bruciar le ore,
col pretesto ormai del ballo
si partecipa al gran sballo.
Gira l'alcool, le pasticche,
l'euforia fa tutte amiche,
e nel pieno del "casino",
non sai più a chi sei vicino.
Poi nel cuore della notte,
in vetture già "truccate",
di sgommate hai pien l'udito,
come a Imola, in circuito.
Tutto è pronto per la sorte
con destinazion la morte,
ed il "branco" più non regge
...resteran solo le schegge.
Verso l'alba silenziosa,
un lampeggio di "volante",
e un telefono di casa
che preannuncia un incidente.
E così la vita "cambia"
in famiglie devastate
usciranno poi i giornali,
con le stragi già annunciate.

sabato 6 dicembre 2008

Giovani disperati

Una solitudine che sfocia nel suicidio….
(Tratto da un articolo di Laura Tondini)

Il caso del ragazzo di Torino, suicidatosi per via delle continue prese in giro circa la sua presunta omosessualità, porta nuovamente in superficie il tema del suicidio fra i giovani.
È un qualcosa che spiazza, come un’alba che non accetta di divenire giorno.
Spesso non ci si rende conto della solitudine nella quale vivono molti ragazzi che, pur stando insieme ai propri compagni, ai propri amici, o comunque con persone della propria età, vivono una vita parallela, un mondo chiuso entro i confini del proprio corpo e della propria mente. Si, perché è impossibile spiegare il suicidio con una definizione generale che possa andare bene per tutti i casi.
Ogni suicidio è profondamente diverso da un altro, per cause, modo, sofferenza sopportata e così via.
Questa nostra società, che sembra prestare attenzione agli adolescenti, si rivela molte volte incapace di dare certezze e speranze a chi si trova in difficoltà.
Non è un’accusa a nessuno in particolare, ma un ragionamento su tutti noi, nessuno escluso, in generale.
Da chi è costituita la società? Da noi. E chi siamo “noi”?
Siamo madri stanche di lavorare per una macchina nuova, siamo padri incapaci di comunicare con i nostri figli, siamo fratelli che studiano lontano, sorelle che non accettano di arrivare seconde o che non sono mai state prime. Siamo genitori troppo presenti, oppure troppo assenti, o anche, magari, troppo perfetti. Siamo famiglie troppo normali o troppo originali.
Siamo coppie che provano a capire i figli attraverso la musica, i vestiti, il trucco, i piercing, i capelli colorati, i disegni, i voti a scuola, i compagni di classe, gli amici di sempre, il giudizio dei professori, il confronto con altri genitori, i rapporti interpersonali, i locali frequentati, i fidanzati, le fidanzate, i diari, le lettere, le lacrime, i sorrisi, i discorsi fatti di mezze verità e mezze bugie...
Siamo umani.
Cosa voglio dire con questo? Che i ragazzi si uccidono perché hanno una famiglia composta di una madre che lavora perché uno stipendio non basta più, un padre che non sa parlare ma sa dimostrare, un fratello che si sta laureando in un’altra città e una sorella esuberante oppure insicura?
No, certo che no.
Voglio solo dire che, spesso, cerchiamo le “colpe” (ammesso che si chiamino “colpe” ed esistano veramente) laddove non ci sono.
Pensiamo che la musica dei Nirvana possa spingere a spararsi come fece Kurt Cobain, leader del celebre gruppo.
Pensiamo che gli occhi truccati di scuro e i vestiti che ricordano tuniche possano spingere la gente a partecipare a sette sataniche.
Pensiamo che alle feste dove vanno i nostri figli giri molta droga, il sesso sia fatto con la leggerezza colla quale si beve un bicchiere di vino e così via.
Già. Noi PENSIAMO.
Ma poche volte CHIEDIAMO. PARLIAMO.
O, meglio, saltiamo alle conclusioni, e puntiamo il dito: così loro ci mostrano il dito medio e si chiudono in camera.
Forse dovremmo partire da lì, da quel momento: da quella porta che si chiude e da quella musica tanto alta che ci fa tremendamente arrabbiare mentre guardiamo il telegiornale o fumiamo una sigaretta per farcela passare.
Il punto,secondo me, è proprio questo: quando si arriva a questo punto non dobbiamo cercare di “farcela passare”, ma cercare di “farcela rimanere”, così può darsi che, una volta o l’altra, riusciremo ad aprire quella porta blindata, oltre la cui soglia si cela un universo fatto di molto, molto di più che droga - sesso - vestiti - trucco - tacchi - pantaloni larghi.
È vero: la mia generazione, definita, a volte, come generazione senza vento, spesso “si crea” dei problemi che vanno al di là di ciò che riguarda il sopravvivere (cibo, abitazione, istruzione,..): spesso ci si pone (magari egoisticamente) il problema del vivere. Del come vivere. Del fatto che ce la facciamo o meno a vivere. E, nel caso riteniamo di farcela, il mondo sembra troppo vero, duro, violento o troppo di plastica, finto, puffesco.
Penso che, comunque, non sia impossibile penetrare in questo mondo nascosto, in questa vita che scorre su un binario parallelo, ma incredibilmente distante e differente da quello che, per via di un qualche desiderio di affermazione sociale, presentiamo sul palcoscenico della vita.
Questo articolo non vuole essere una condanna per quei genitori che, non avendo avuto possibilità, cercano di DARE ai figli tutto il possibile (e l’impossibile, anche). Non voglio condannare chi fa fatica ad entrare in comunicazione con i propri figli.
E non voglio nemmeno suggerire una via assoluta e perfetta che, se percorsa, salverà sicuramente tutti i nostri ragazzi dal salto nel buio.
Sto solo cercando di dire che, se finalmente riuscissimo a DIRE più che a DARE, allora qualcosa potrebbe cambiare.
Ma è una speranza, non un’aspettativa.

In strada, alla stazione, fuori dalle scuole, nei pub, abbiamo chiesto loro che cosa li spaventa di più guardando al futuro, e quale è, invece, il loro sogno nel cassetto. Chissà, magari potreste scoprire che quella ragazza con i capelli verdi e quel ragazzo dai grandi sogni non sono poi così differenti da voi, quando avevate la loro età.

Che cosa ti spaventa di più guardando avanti nel futuro?
Mi chiedo spesso dove ci porteranno tutte queste guerre. (Micaela, 25 anni)
Ho paura di perdere gli amici che ci sono adesso... insomma, di cambiare troppo! (Sara, 17 anni)
La mia più grande paura è la morte. (Adriana, 19 anni)
Mi spaventa il futuro in generale. (Filippo, 15 anni)
Non vorrei mai deludere le aspettative dei miei genitori, sperano che mi trovi un buon lavoro, visto che mi mandano a scuola! (Martino, 15 anni)
Mi spaventa la solitudine. (Lara, 19 anni)
Spero di non perdere mai qualcuno che amo, a volte sembra quasi un presentimento. (Jessica, 19 anni)
Per me sarebbe terribile se non riuscissi a sentirmi realizzata sul lavoro e nella famiglia. (Laura, 20 anni)

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
Formarmi una famiglia. (Giulia, 13 anni)
Vivere una vita serena. (Chiara, 17 anni)
Fare un lavoro che mi piace. (Angela, 23 anni)

Giovani e vita: una sfida, un’avventura


Ogni persona giorno dopo giorno cambia, si trasforma, ma se “rileggiamo” la nostra vita, magari nei temi scolastici, ci accorgiamo che i valori e le domande fondamentali li portiamo sempre con noi.


Che senso ha la vita? Ed io perché vivo?
Quante volte mi sono posta queste domande, senza riuscire a dare una vera risposta.
Nei momenti di sconforto per qualche delusione o quando si vive o si legge sui giornali qualcosa di terribile, credo sia normale chiedersi “che valore ha la vita?”, “perché succedono certe tragedie?”, “perché c’è gente al mondo che sembra non rispettare il valore più importante: la vita?”
Queste domande non se le pone solo un giovane, ma anche un bambino, che nel suo piccolo, si chiede “perché ci sono uomini cattivi?” e gli adulti che cercano di fare “giustizia” alle tragedie che succedono.
Tante volte si sente dire: “I bambini, i giovani sono il futuro dell’umanità. Riponiamo in loro la speranza di un mondo migliore”. Ma poi cosa vuol dire un “mondo migliore”? In alcuni paesi dilaniati dalla guerra, dove i bambini nascono in mezzo ai combattimenti e imparano fin da piccoli a usare le armi e a pensare che la cosa più giusta sia annientare il nemico, come possono immaginare un mondo diverso se quella è la loro vita? Come possono i ragazzi occidentali far capir loro che esiste un “mondo migliore”? Come far capire che uccidere è sbagliato, che l’odio può portare solo ad altro odio e per questo bisogna risolvere le “questioni” pacificamente, senza poi portare rancore?
Il mondo è grande. È anche vero che ci sono molti ragazzi che credono in un futuro fatto di pace e amore, ma sono sempre troppo pochi e poi spesso è difficile portare avanti le proprie idee davanti ai compagni, agli adulti,al mondo. Inoltre credo ci sia un pensiero ricorrente in molti: “Ma io non sono niente, non credo che il mio aiuto serva poi così tanto, forse solo a poche persone, quindi per quale motivo impiegare tutta la mia fatica, il mio lavoro e il mio cuore?” Spesso si vorrebbero fare grandi cose con poco sforzo, ma soprattutto in poco tempo, ma questo si sa che è difficile. E ciò è difficile da comprendere soprattutto quando si è giovani che si freme dal desiderio di veder subito realizzati i propri sogni.
Ma ritornando alla mia domanda iniziale, sul senso della vita, posso solo dire che per me la vita è qualcosa di speciale, anche se a volte mette alla dura prova, con le sue mille difficoltà di ogni giorno, e che posso trovare un senso, per me molto importante, nell’aiutare gli altri, soprattutto i bambini, perché mi piacciono, mi riempiono il cuore sempre di allegria e danno un senso alla mia vita. Quando mi chiedo per quale motivo io vivo, nei momenti di grande sconforto non riesco a darmi una risposta (forse anche perché in quei momenti sono egoista e penso solo al mio dolore e ai miei problemi), ma poi mi dico che vivo grazie alle persone che mi stanno attorno, che mi amano, che mi appoggiano e mi danno fiducia nelle mie scelte e che mi sostengono nelle difficoltà. A volte, comunque, anche quest’ultima situazione può mettere in crisi: la paura di deludere le aspettative di chi ti vuole bene, di non essere all’altezza, di essere valutati in modo migliore di quello che in realtà ci si sente di essere. E io credo che questo non sia solo un mio problema, ma anche di altri giovani. Ci sono anche ragazzi con il problema opposto: avrebbero bisogno di sostegno e di fiducia per realizzarsi, ma nessuno, o pochi, credono in loro e quindi si sentono dei perdenti. Io però credo che tutti abbiano delle doti, ognuno deve solo riuscire a trovare la propria strada, quella giusta che lo renderà un uomo maturo, soddisfatto di ciò che è riuscito a costruire.
Spesso si sente dire dagli adulti che “non ci sono più i giovani di una volta”. Questa affermazione comunque l’ho sentita anche studiando filosofi dell’antica Grecia, che si lamentavano di questo problema e ripensavano ai tempi passati con malinconia. Quindi è normale che in ogni generazione ci siano dei cambiamenti, anche se io credo che si possa notare che in tutti, in chi più in chi meno, rimangono sempre i valori fondamentali: la vita, l’amicizia e la solidarietà.
Noi giovani d’oggi ci uniamo molto nella musica, si ama andare con il proprio gruppo ai concerti; unisce il cinema, ma anche lo sport, anche se purtroppo talvolta, soprattutto nel calcio, si sentono episodi sgradevoli di violenza sulle tribune. Io, pur essendo una ragazza, non riesco a capire il motivo di questa violenza la domenica, perché credo che il calcio, come tutti gli altri sport, debba servire ad unire le persone,a divertirsi in compagnia, dimenticando le fatiche fatte durante tutta la settimana appena trascorsa. A noi giovani stare in gruppo, assieme ai nostri coetanei, serve per condividere gli stessi sogni, le stesse esperienze e gli stessi problemi, è un modo per confrontarsi. Infatti molto spesso troviamo difficoltà a comunicare con gli adulti, che sembra non riescano a capirci con le loro idee di un “tempo”. Spesso gli adulti non capiscono il nostro modo di vestire, i nostri gusti su quanto riguarda la musica e il cinema, sul modo di passare il tempo libero (“guarda meno televisione e goditi l’aria fresca”, “non vivi senza cellulare?”) e questo è motivo di contrasto, che talvolta porta al desiderio di più libertà e alla voglia di passare più tempo possibile in compagnia dei propri amici.
Per noi giovani la vita è proprio una sfida, perché, ora che piano piano ci stacchiamo da mamma e papà, dobbiamo imparare ad affrontare più autonomamente le occasioni che ci si presentano nel cammino della nostra vita e nel cercare di realizzare i nostri sogni. Ma nello stesso tempo è un’avventura, perché dobbiamo superare i vari ostacoli che la vita ci mette di fronte e non lasciarci abbattere, ma continuare ad andare avanti e pensare sempre alla meta finale. E un po’ come quando si deve fare una scalata in montagna: la sfida è quella di raggiungere la meta nel migliore dei modi, ma nello stesso tempo è un’avventura, perché si vedono quali sono le proprie capacità e con queste si cerca di superare tutti gli ostacoli. Io comunque credo che la vita sia la sfida più bella e dobbiamo imparare a viverla giorno per giorno nel migliore dei modi, assaporando ogni momento, che sia di gioia che di dolore, che ci viene regalato da Dio e gustando i bei momenti che trascorriamo in compagnia delle persone a noi care.