domenica 28 giugno 2009

Un sogno senza fine...






Sono già passati due anni da questa magnifica esperienza, però rivivo ogni giorno dentro me episodi simpatici ed anche commoventi.
Con il movimento: Pelli Sintetiche ( http://www.pellisintetichefamily.com/ ),del quale faccio parte anch'io, abbiamo girato vari luoghi del centro Italia cercando di portare il nostro stile e di dare servizio in una casa riposo,in un centro per disabili, nonchè portando un pò di gioia e divertimento per le piazze, con le nostre musiche e balli.
Vivendo in semplicità, alloggiando un pò dove capitava con il sacco a pelo e come unica certezza la nostra voglia di vivere,di stare assieme,di gioire per una doccia o un pasto caldo!
Un'esperienza che veramente mi ha aperto gli occhi su molte cose e mi ha arricchito immensamente!
Di seguito ho inserito un'e-mail che avevo mandato ai miei compagni di viaggio,ai miei fratelli!

Ciao! Eccomi qui,dopo cinque giorni di distanza da te,da voi e da questa magnifica esperienza. Solo ora riesco a “riordinare” il pensiero e a trovare e gustare i vari momenti,i sentimenti e tutto ciò che ha composto questi sette giorni vissuti assieme. Di cose da dire ce ne sarebbero tantissime,cercherò di essere breve,anche se un poema uscirà lo stesso,quindi se hai tempo inizia a leggerlo…!!!
Inizio dalla parola:differenza…una parola che a volte fa paura perché fa rima con diffidenza. In questa settimana abbiamo vissuto dentro la differenza;differenza di carattere e persona e differenza dovuta a varie problematiche(nei due centri che ci hanno accolto)…una differenza che abbiamo amato e vissuto con gioia…pensavo a un paragone strano,curioso(o del tutto pazzo!):i nostri piedi! Con le scarpe,le maschere,sembrano tutti uguali….ma invece non esiste un piede uguale all’altro:dita lunghe,corte,storte,dritte…la pianta del piede poi mostra singolari “percorsi geografici”. In questo tempo abbiamo imparato a conoscere le nostre diversità e le diversità delle tante persone incontrate. Ho imparato a scoprire come dietro a ogni limite abitasse un motivo,una spiegazione,una ferita. Che fatica trovare un passo comune…che fatica,a volte, ascoltare i piedi propri e quelli degli altri,ma che forza dalla consapevolezza di andare tutti verso una stessa meta pur nella diversità di ciascuno…che forza dalla coscienza di dover per forza arrivare ma di non poter farlo da soli in salita…che bello l’aiuto reciproco…la diversità è fatica,la diversità è stupore…può tradursi in rifiuto o ricchezza…e per noi è stata un immenso tesoro!
Passo ora alla provvidenza ed alla speranza che ci ha accompagnato…Speranza che illuminava gli occhi degli anziani che abbiamo incontrato e riscaldava,anche se per poco,il loro cuore. Se non ricordo male in ebraico speranza si traduce con: tikvà,che significa anche corda;è bello sapere che la speranza abbia un’anima di corda. Nella parola tikvà c’è il senso di essere legato a qualcuno che non lascia soli. Sì,è una questione di cordata in fondo,la fune può essere bella forte finchè vuoi, ma se quando scali una montagna il compagno a cui sei legato è un irresponsabile,un inaffidabile,il rischio di farsi male c’è,e una buona corda non ti salverà. Per sperare davvero bisogna sperare in qualcuno che non ci deluderà….e che in questi giorni non ci ha affatto deluso!! Qualcuno che ci sta davanti,che ci guida sicuro verso la vetta,che ci aspetta se ci fermiamo,che non ci lascia cadere. Qualcuno a cui legare la tikvà,la corda-speranza,nell’assoluta certezza che,non c’è trucco e non c’è inganno,ci arriveremo davvero lassù in cima….Noi questo Qualcuno l’abbiamo incontrato ed è stato,come diceva Giacomo,il diciannovesimo compagno di viaggio,un tipo veramente fuori dal comune che amava la libertà….e che in questa settimana non ci ha fatto mancare nulla,anzi ci ha donato moltissimo,forse troppo!!!
Mi rendo conto che ancora oggi faccio fatica a trovare le parole per spiegare questo sogno senza fine,come ha detto Alessandro,che si esprime pienamente solo nel mio cuore,nei nostri cuori…Per questo traduco tutto ciò che vorrei dirti con un immenso grazie e un mega abbraccio…concludo dicendo:Ti voglio bene.
“ti”:a te,personalmente,per come sei,per quello che fai,per quello che significhi per me.
“voglio”:sono io a volerlo e non qualcun altro,sono io che lo sento dentro. E siccome lo voglio farò di tutto perché continui ad essere così.
“bene”:perché ho imparato a conoscerti e desidero il tuo bene,la tua felicità…desidero che il sorriso che era sempre stampato nel tuo viso non svanisca mai!!
Grazie fratelli e sorelle!!
Marianna

martedì 23 giugno 2009


"La misura dell'amore è amare senza misura" (Sant'Agostino)


Quando nasce un bambino, la prima azione, dopo averlo guardato in viso, è dargli un nome. Chiamarlo per nome. Tutto al mondo funziona così! Niente potrebbe esistere senza essere chiamato in un certo modo, senza poter essere riconosciuto attraverso le lettere di una parola, una vibrazione. Ciò che gira intorno a noi, e a volte anche ciò che sentiamo dentro, rimane lontano fino a che non lo rendiamo nostro. Funziona così anche per le emozioni, per i sussulti dell’anima, per le relazioni di ogni genere che ci coinvolgono. E nulla sembra essere mai perfetto. Perfetto si può dire di un ideale e invece l’amore, in tutte le sue forme, seppur è qualcosa di meraviglioso, sa fare anche male, sa essere duro e ingeneroso.
“Amore e desiderio sono due cose distinte: non tutto ciò che si ama si desidera, né tutto ciò che si desidera si ama” (Miguel De Cervantès)
Per questo, dobbiamo sforzarci di dare un nome alle cose. Non a caso la gamma infinita di relazioni che posso instaurare con un’altra persona porta a dare a ognuno un posto, un ruolo, a volte anche “scomodo”. Così le emozioni che viviamo sono come quel bambino. Ognuno di noi ne è genitore, felici di poterlo finalmente chiamare per nome, nonostante le difficoltà. Ognuno può stringere tra le braccia la sua vita solo se è consapevole della fragilità, della cura di cui ha bisogno, ma anche della forza che già il suo minuscolo cuore sprigiona.

mercoledì 17 giugno 2009


GIOVANI TRA RICERCA DEL PIACERE E DIMENSIONE DEL RISCHIO

QUANDO LE PAROLE FANNO PAURA
Ci sono due parole che hanno a che fare con il mondo giovanile contemporaneo e che suscitano a chi le ascolta un disagio, un senso di fastidio, forse paura: droga e dipendenza. Droga è un termine che vuol dire sia medicina che veleno. Una sostanza insomma che può curare quanto far star male; dipendenza è qualcosa che ti lega, può essere ricercata, voluta, amata, oppure può far soffrire, costringere, odiare.
Sono due parole dai significati ambigui, che però caratterizzano la sperimentazione che in età adolescenziale si innesca, con processi che si modificano velocemente, cambiano da città in citta e da età ad età, svincolano fuori dalle statistiche e costringono spesso il mondo adulto a “correre ai ripari”. Di sicuro fa più paura ai grandi piuttosto che ai giovani. Droga per un ragazzo che sperimenta forme di divertimento nuove diventa stupefacente.
Dipendenza diventa libertà.
Provare oggi a entrare nel mondo giovanile vuol dire anche fare i conti con questa visione diversa: per un gruppo di amici il correre in motorino, l'ubriacatura al sabato sera, la musica alta, il video poker sono tutte forme di ricerca del piacere, spesso indotto da sostanze, spesso mischiato e confuso con il gusto di vivere insieme, l'omologazione dei pari, il desiderio di farcela da solo, la voglia di evasione. La ricerca del piacere porta a fare i conti con un aspetto che causa i maggiori problemi, cioè il rischio: il rischio di rovinare la propria vita, la propria incolumità psico-fisica, le amicizie, la possibilità di vivere in maniera sana un evento e in ultima analisi mettendo in rischio la propria e l'altrui vita.

I nuovi volti della dipendenza e del consumo
Oggi i volti della tossicodipendenza sono molto variegati. Non sono cambiati solo i protagonisti, sono cambiate anche le sostanze stupefacenti presenti sul mercato e le modalità della loro assunzione.
Il diffondersi del poliabuso
Il modello prevalente di consumo è il poliabuso: varie sostanze, legali e illegali, vengono usate alternativamente, in sovrapposizione e in supporto l’una dell’altra. Tra gli ultimi reclutati al consumo e alla dipendenza si evidenziano, sempre più numerosi, gli stranieri immigrati con o senza il permesso di soggiorno. L’abuso di alcol, cocaina ed eroina rappresenta spesso il capolinea di un progetto migratorio fallito, di fronte alle difficoltà di sopravvivenza e di inserimento nella società italiana. La maggior parte dei giovani “sperimentatori” di sostanze oggi si rivolge alle cosiddette nuove droghe o droghe di sintesi. Apparentemente meno pericolose, perché confezionate in pastiglie che si assumono per via orale, vengono utilizzate nei contesti di aggregazione e di divertimento, mescolate spesso all’alcol.
La problematica del “nuovo consumo”
La popolarità delle nuove droghe, penetrate in questi anni tra decine di migliaia di giovani più o meno trasgressivi che frequentano discoteche, locali di tendenza e rave-parties, impone oggi all’attenzione degli adulti la problematica del “nuovo consumo”. Un consumo da interpretare non come anticamera della dipendenza, ma come fenomeno di per sé, caratterizzato da rischi e danni specifici. Un dato comunque caratterizza oggi il fenomeno delle dipendenze e dei consumi. La sua continua evoluzione, che dà vita a sempre nuovi “assetti”. Questa fluidità del fenomeno chiede al mondo adulto un'attenzione costante per ripensare continuamente l’adeguatezza dei propri interventi.
Cannabis, la droga più diffusa
La droga illegale oggi più usata nel mondo è la cannabis. Dei 200 milioni di persone che si stima facciano uso di sostanze stupefacenti illecite, 163 milioni fanno ricorso a cannabis (dati Onu 2003).
Cocaina, un mercato in crescita
Da alcuni anni la cocaina, per l’abbassamento del prezzo di acquisto, è diventata accessibile alle tasche di molti giovani, meno attrezzati nel far fronte alle conseguenze di questo consumo. La pericolosità di questo nuovo fenomeno non può essere ulteriormente ignorata.
Alcol, la droga sottovalutata
Se è vero che l’uso di sostanze oblianti accompagna da sempre l’evolversi delle società, oggi prendiamo atto di quanto l’alcol sia proposto dai media e vissuto dalla maggior parte delle persone come elemento puramente piacevole e non problematico, normalmente presente nei momenti di incontro e di svago. Questo avviene nonostante sia evidente il tragico primato dell’alcol come causa di elevata problematicità e mortalità. L’alcol è la prima causa di morte per i giovani uomini europei. Il dato più preoccupante è tuttavia il fatto che l’alcol primeggia sempre di più nei consumi dei giovani.
L’approccio all’alcol sta diventando sempre più precoce. I giovani si avvicinano al bere per molte ragioni, che variano in base alle circostanze personali e sociali (desiderio di appartenenza al gruppo, ricerca di un sostegno per affrontare situazioni di difficoltà, vincere la noia, piacere del gusto, favorire la socializzazione). Le ragazze, pur bevendo meno dei ragazzi, si avvicinano ai modelli maschili di consumo, esponendosi a rischi gravi soprattutto in età fertile e durante la gravidanza.

UNA COMUNITA' EDUCANTE?
Il nostro contesto culturale tende a riconoscere la persona solo dai ruoli che questa riveste nella società e non dalle potenzialità o risorse che invece essa sa e può esprimere. L’identità che il giovane percepisce e si costruisce è troppo spesso lo specchio di ciò che gli viene restituito dall’insegnante, dal datore di lavoro, dal genitore, in un quadro incompleto dove viene tralasciato tutto quel prezioso mondo, strutturato o meno, del “tempo libero”, cioè slegato dalle incombenze della scuola o del lavoro. Questo tempo dovrebbe infatti rappresentare un luogo, per eccellenza, di espressione della persona, dentro al quale manifestare le proprie passioni, potenzialità e desideri. In realtà è un tempo che il mercato ha saputo riempire lasciando poco spazio alla spontaneità e all’iniziativa personale. Un mondo economico, quasi esclusivamente legato al solo consumo, che sta saturando il desiderio, colmandolo di false illusioni e vuoti emotivi. “Il tempo libero è stato privatizzato”. Sono i mercati a imporre il cocktail del divertimento: solo se bevi una certa bevanda e vesti in un certo modo c'è il Party, la festa, le belle donne. Un mercato che conosce tutti i meccanismi per indurre al consumo i giovani consumatori.
E' necessario che i soggetti che lavorano con i gruppi di giovani (insegnanti, allenatori, animatori parrocchiali) pongano al centro di nuovo queste tematiche. Parlare di stili di vita piacevoli e rischiosi non deve far paura ma può aiutare a far emergere le difficoltà, le vere problematicità che caratterizzano questi comportamenti. Il dialogo dev'essere franco, privo di pregiudizi, privo di indici puntati. informare e sensibilizzare con serate a tema è altrettanto necessario, ma risulta efficace solo se accompagnato da un importante lavoro sullo sviluppo della criticità. Non punire né condannare, ma portare i giovani a capire come solo una coscienza critica, libera, creativa, autonoma possa renderli veramente adulti significativi. (da internet)

martedì 16 giugno 2009


La vita è un ponte:

attraversalo,

ma non fissarvi la tua dimora...






domenica 14 giugno 2009

Disabilità non fa rima con solitudine

Qualche mese fa mi trovavo al concerto tenuto a Bologna da Jovanotti, artista particolare che ha saputo proporsi nel tempo in modo sempre diverso. Un grande comunicatore di concetti, oltre che un ottimo compositore ed esecutore. Quando il pubblico ha sentito l'attacco di Fango ("Io lo so che non sono solo...") subito è partito in un coro tale da sovrastare la voce del cantante. Fino a quel momento avevo apprezzato questa canzone senza dare troppo peso al messaggio che veicolavano quelle parole, ma, dopo aver sentito tutte quelle persone che la cantavano all'unisono, ho pensato che quel testo volesse dire qualcosa di più, e che forse toccava questioni che tutti sentiamo a noi vicine. Con spirito da scolaro diligente - quale non sono mai stato - mi son messo ad analizzarne le parole. È vero: alcuni punti sono davvero interessanti. A una prima lettura, quelli più degni di nota mi erano sembrati i passaggi relativi al rischio di diventare come anestetizzati rispetto alle cose del mondo, quelle magari più comuni, che spesso diamo così per scontate che non ci accorgiamo nemmeno di trascurarle. «Ma l'unico pericolo che sento veramente / è quello di non riuscire più a sentire niente (. . .) il battito di un cuore dentro al petto / la passione che fa crescere un progetto / l'appetito, la sete, l'evoluzione in atto / l'energia che si scatena in un contatto». Quest'ultima parte mi ha fatto pensare anche al film Centochiodi di Ermanno Olmi. Però, leggendo e rileggendo il testo della canzone, l'occhio in realtà mi cadeva sempre su un'altra frase, non a caso il ritornello: «lo lo so che non sono solo / anche quando sono solo / io lo so che non sono solo / e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango». Quella della solitudine è una delle paure più sentite da ognuno di noi. Non è solo il timore di perdere chi più ci è vicino. Piuttosto, in generale, è il timore di essere soli al mondo. Rispetto a questa angoscia diffusa, la disabilità è un ottimo «monitor» sociale e antropologico. Infatti, una delle cose che impedisce un rapporto paritario tra le persone di sa bili e i normodotati è proprio !'immagine intimorita, diffidente che questi ultimi hanno della condizione di disabilità, quasi fosse sinonimo di solitudine irreversibile. Questa immagine si accompagna ad altre simili, come quella che associa disabilità a sofferenza, o ad assistenza. In qualche modo il rapporto "disabile - normale" riflette la paura diffusa della solitudine, restituendo cela in maniera più nitida. Insomma, la disabilità ci spaventa anche perché pensiamo che, semmai ci trovassimo in quella situazione, saremmo condannati a una vita isolata. È come se, temendo la solitudine, avessimo paura di chi ci sembra vivere appieno quella condizione di totale distacco. Ma c'è un altro messaggio che il testo ci trasmette: la solitudine è uno stato apparente, quasi un auto-convincimento. Mi sembra che Jovanotti ci inviti a considerarla come una condizione non-data, cioè in divenire e nelle nostre mani: siamo noi a poterne determinare tempi e caratteristiche. Una simile visione della solitudine comporta, però, anche la dismissione di associazioni di idee, come quelle di cui parlavamo sopra, che solo apparentemente sono nocive e discriminanti per gli altri, ma che in realtà limitano le nostre stesse vite. Per cui associamo con facilità la solitudine a determinate situazioni esistenziali (immobilità, dipendenza, deficit, o altre), mentre l'essere soli è una condizione di vita che dipende dal modo in cui percepiamo noi stessi e ciò che ci sta attorno.(da internet)

venerdì 12 giugno 2009


Le nuove solitudini
Ci si può sentire soli in un'epoca come la nostra, in cui la comunicazione sembra essere facilitata da tecnologie sempre più sofisticate? Nell'era di Internet, basta spingere il tasto di un computer per inviare in pochi secondi un'e-mail da Roma a Tokyo, da Londra a Mosca, da Parigi a New York. Un dito della mano è sufficiente per metterci in contatto con il resto del mondo. Eppure, nonostante questo, ci sono molti giovani soli, che non riescono a stabilire un reale rapporto con gli altri.Agli inizi del terzo millennio, stiamo assistendo alla nascita di tante "nuove solitudini", completamente diverse da quelle che vivevano le precedenti generazioni. Sono forme di disagio tipiche del nostro tempo, frutto delle contraddizioni di un'epoca in cui i rapporti umani diventano sempre più difficili da mantenere.La prima grande solitudine è figlia del computer. Questo straordinario strumento di lavoro può servire per fare cose meravigliose, ma può anche contribuire a creare nuove "celle di isolamento". E' come un bisturi. Nelle mani di un grande chirurgo può salvare migliaia di vite umane, ma se finisce nelle mani di un pazzo può fare del male ed uccidere.Tanti giovani trascorrono ore davanti allo schermo di un computer, navigando tra un sito e l'altro o parlando attraverso le "chat", le "mailing list" e i "newsgroup" di Internet.Apparentemente, sembrano comunicare. Ma bisognerebbe chiedersi: qual è la qualità di questo tipo di comunicazione? Spesso le persone che intervengono nei dialoghi virtuali delle "chat" non sono sincere. Ci sono, ad esempio, uomini che fingono di essere donne e viceversa. Alcuni hanno anche cattive intenzioni ed approfittano dell'ingenuità dei ragazzi.Il risultato è una comunicazione falsa e mascherata, che rischia di favorire l'isolamento e l'incapacità di sostenere un autentico rapporto con gli altri.Un'altra "nuova solitudine" è quella del gioco. Oggi, purtroppo, non ci si diverte più come una volta. Nelle grandi metropoli, diventa sempre più rara la dimensione del cortile e della piazza, dove un tempo si praticavano i giochi all'aperto. Erano un'occasione per dialogare, per confrontarsi, per vivere una parentesi di svago rispettando delle regole ben precise. Quindi, erano anche dei momenti fortemente educativi.Si sta diffondendo, invece, la moda dei videogiochi, che rappresentano un'ulteriore occasione per essere soli. Non ci si confronta più con gli altri, ma semplicemente con i suoni, i rumori, i colori di un avversario virtuale, che appare sullo schermo di un computer.Tempo fa, un catalogo di videogames ha ospitato una pubblicità molto triste, che diceva: "Butta il secchiello, abbiamo un gioco più bello". Era un invito ad abbandonare i tradizionali giochi del mare, con la paletta e il secchiello, per dedicarsi a quelli elettronici.E' la morte della creatività. Seguendo questo slogan, i ragazzi dovrebbero abbandonare i castelli di sabbia per restare incollati di fronte alle lotte sanguinarie dei videogames, dove i personaggi buoni si muovono con la stessa violenza dei cattivi.Anche la televisione può essere fonte di "nuove solitudini". Tanti ragazzi, infatti, hanno il televisore nella loro cameretta e subiscono un vero e proprio bombardamento di messaggi. Dalle trasmissioni che esaltano il mito dell'apparenza, dicendo che la chirurgia estetica è la fonte della vera felicità, ai telegiornali che non fanno più informazione, ma prediligono servizi su fotomodelle e attricette. Senza contare la falsità dei cosiddetti "reality show" e lo squallore di maghi, cartomanti e venditori di amuleti, pronti ad avventarsi come avvoltoi su chi attraversa momenti di difficoltà e sofferenza.Quando si è soli, purtroppo, è facile essere indottrinati e strumentalizzati da programmi diseducativi. Si diventa prede di emittenti televisive senza scrupoli, il cui unico obiettivo è aumentare l'audience e sparare spot pubblicitari a ripetizione.Un'altra solitudine significativa è quella della discoteca. Molti ragazzi trascorrono il fine settimana nei locali da ballo, illudendosi di trovare un contatto con gli altri. Ma poi, la musica è talmente assordante da ostacolare qualunque tipo di dialogo.Di conseguenza, le discoteche si trasformano in un insieme di giovani soli che ballano. Ognuno è rinchiuso nel proprio guscio di mutismo e di incomunicabilità, mentre le luci psichedeliche impediscono di guardarsi realmente negli occhi.Ma la solitudine più preoccupante è quella generata dal dilagante ateismo. Con la scusa del cosiddetto "Stato laico" si tende a creare sempre di più una società senza Dio, dominata dal qualunquismo e dal relativismo morale.In Italia, ultimamente, è scoppiata una polemica per la presenza del crocifisso sui muri delle scuole. In Francia, addirittura, è stata avanzata una proposta di legge per vietare l'uso di simboli religiosi "troppo visibili".Il pericolo, per i giovani, è quello di ritrovarsi soli in un mondo sempre più materialista, privato di quel rapporto di filiazione divina che può rappresentare "una marcia in più" nei momenti di difficoltà. Chi sa di essere figlio di Dio non può mai sentirsi abbandonato di fronte ai propri problemi.Oggi, dunque, sono tante le occasioni di solitudine che rischiano di oscurare l'animo dei ragazzi. Che cosa si può fare per cambiare rotta e combattere questo fenomeno?Prima di tutto, è necessario educare i giovani a sviluppare un maggiore senso critico nei confronti dei mezzi di comunicazione. Bisogna abituare i ragazzi a non subire in modo passivo i messaggi che ricevono dalla televisione.Poi, è necessario recuperare la tradizione dell'autentico stare insieme nei momenti di divertimento. Basta con le discoteche che impediscono la comunicazione! I gestori dei locali dovrebbero creare ambienti più favorevoli al dialogo. Potrebbero limitare il volume della musica e proporre giochi e balli di gruppo, che aiutino maggiormente a socializzare.Infine, si dovrebbe evitare la presenza ossessiva di fronte allo schermo del computer.Per sfuggire a questo mondo ingannevole di rapporti virtuali, nasce spontaneo un imperativo: ritrovare i volti. Bisogna uscire di casa ed imparare ad incontrare gli altri. Gli altri veri. Non quelli falsi, mascherati, che si nascondono dietro la barriera di uno schermo.La vera soluzione al problema della solitudine non sta in una notte trascorsa a "chattare" su Internet o in un sabato sera perduto nel rumore di un'assordante discoteca. Non sta neppure nei ripetitivi combattimenti dei videogiochi o nell'adorazione di qualche "velina" che ci sorride in modo forzato dal televisore. Sta nella porta di casa che si apre e che diventa, finalmente, un ponte verso la vita.Ci sono tantissimi ambienti pronti ad accogliere i giovani con un sorriso vero, umano, non virtuale. Ad esempio, quelli del volontariato. Tanti ragazzi, invece di diventare schiavi delle "nuove solitudini", hanno voluto dare un senso alla loro esistenza, offrendo alcune ore della propria giornata all'aiuto di poveri, anziani, malati, emarginati.C'è anche chi ha rinunciato alla solita vacanza al mare per fare un'esperienza diversa, più costruttiva, al fianco di missionari in Africa o in America Latina. Sarà tornato un po' meno abbronzato, ma tanto "ricco" e cresciuto nell'anima.Insomma, la solitudine non è un male incurabile. La migliore medicina bisogna cercarla nel nostro cuore, aiutandolo ad essere un po' meno egoista e conformista, in un mondo che ci tende la mano ed ha un infinito bisogno d'amore.

Carlo Climati

Articolo pubblicato sulla rivista "Milizia Mariana" (2004)

lunedì 1 giugno 2009

'Questa è una crisi dei diritti umani!'



Intervento del portavoce di Amnesty Italia.
Nel 2008, anno in cui è stato celebrato il 60mo anniversario della
Dichiarazione universale dei diritti umani, i diritti umani sono stati
messi in secondo piano, se non addirittura traditi. È difficile trovare più
di una manciata di eventi positivi: l'arresto di Radovan Karadzic e la sua consegna al Tribunale per la ex Jugoslavia; la quasi scomparsa delle esecuzioni capitali in Africa; le battaglie giudiziarie per il possesso della terra vinte da comunità indigene dell'America del Sud. Ma questo anno è iniziato con la crisi in Kenya, con oltre un migliaio di morti nelle violenze seguite alle contestate elezioni politiche e si è concluso con un tributo di sangue di civili palestinesi, uccisi a Gaza nel corso dell'operazione "Piombo fuso". Per la prima volta dopo quasi 10 anni la guerra è tornata in Europa con lo scontro tra Russia e Georgia. Conflitti dimenticati, in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia e nello Sri Lanka, hanno continuato a fare migliaia di vittime.

Rimpatri e torture. Il Rapporto Annuale 2009 di Amnesty International propone un quadro mondiale decisamente preoccupante e i dati che emergono sull'Italia sono altrettanto inquietanti. L'Italia è ormai precipitata in una spirale di disprezzo dei diritti umani, con un accanimento discriminatorio verso le minoranze: dagli sgomberi delle comunità rom e sinti, a norme sull'immigrazione palesemente discriminatorie, dal rinvio forzato in Libia di migranti giunti sulle nostre coste, ai discutibili accordi di cooperazione con il paese africano, dal rimpatriato di due cittadini tunisini in spregio delle decisioni della Corte europea dei diritti umani, alla mancanza di parole di condanna da parte degli ultimi tre governi sul caso della rendition di Abu Omar. In Italia, inoltre, la tortura non è ancora reato e per chi ne cade vittima le leggi non hanno parole da usare per condannare in modo adeguato i responsabili, come nel caso Bolzaneto.

Insicurezza e repressione. Negli Stati Uniti l'ultimo anno della presidenza Bush è trascorso in continuità con i precedenti, con la rivendicazione di una politica di sicurezza basata sulle violazioni dei diritti umani. La nuova amministrazione ha intrapreso un cammino diverso, anche se il percorso da seguire appare ancora incerto e ricco di ostacoli. Nella seconda parte dell'anno sullo scenario mondiale si è affacciato un nuovo tema: la crisi economica. I diritti umani, già sacrificati in nome della "guerra al terrore", sono stati nuovamente messi in secondo piano da questa nuova emergenza. La recessione, oltre a peggiorare le condizioni di vita, ha alimentato l'instabilità politica e la violenza di massa ed è stata usata per giustificare una dura repressione del dissenso: dall'Iran allo Zimbabwe, dal Guatemala alla Siria, dalla Turchia alla Cina. Il clima di insicurezza ha reso ancora più vulnerabili paesi che già vivevano gravi difficoltà, dall'Afghanistan, dove il clima di instabilità ha pregiudicato l'accesso al cibo, alle cure mediche e all'istruzione, al Pakistan, precipitato in una spirale di violenza. Dobbiamo essere consapevoli che la povertà non è un accidente inevitabile ma il frutto di decisioni e politiche reversibili. La crisi che stiamo vivendo non è solo finanziaria, è una crisi dei diritti umani ed è proprio dai diritti umani che dobbiamo ripartire, nei diritti umani dobbiamo cercare la soluzione. Per queste ragioni abbiamo lanciato la nuova campagna "Io pretendo dignità", per ridare dignità ai prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita e diventare loro stessi attori di questo cambiamento.


I dati principali del Rapporto Annuale 2009

Libertà di espressione
Limitazioni alla libertà di espressione sono state imposte in almeno 81 paesi.

Pena di morte
Almeno 2390 prigionieri sono stati messi a morte in 25 paesi. Il 78% delle esecuzioni ha avuto luogo nei paesi del G20.

Esecuzioni extragiudiziali/omicidi illegali
Esecuzioni extragiudiziali od omicidi illegali sono stati commessi in oltre 50 paesi. Il 47% di questi crimini è stato riscontrato nei paesi del G20.

Torture e altri maltrattamenti
Torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso degli interrogatori, in circa 80 paesi. Il 79% delle torture e dei maltrattamenti si è registrato nei paesi del G20.

Processi iniqui
Processi iniqui sono stati celebrati in circa 50 paesi. Il 47% di essi si è svolto nei paesi del G20.

Detenzioni illegali
Prigionieri sono stati sottoposti a periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo, in circa 90 paesi. Il 74% di queste detenzioni ha avuto luogo nei paesi del G20.

Rinvii forzati di richiedenti asilo
Persone che chiedevano asilo politico sono state respinte da almeno 27 paesi verso stati in cui sono andate incontro ad arresti, torture e morte.

Prigionieri di coscienza
Prigionieri di coscienza sono finiti in carcere in almeno 50 paesi.


Sgomberi forzati
Sgomberi forzati sono stati eseguiti in almeno 24 paesi.

Questi dati si riferiscono al periodo gennaio - dicembre 2008.


Tratto da: http://www.amnesty.it/)