sabato 26 settembre 2009

Dietro fragili maschere


..."Mi sento grande...è per scacciare le paure...così gli altri non mi prendono in giro e posso entrare nella loro compagnia..."
Questa è la definizione di sigaretta, e di fumo, che danno spesso i giovani.
Non voglio condannare o giudicare nessuno, ma come motivazione mi sembra alquanto povera, che si dissolve nel nulla come quel soffio di fumo.
Così è la moda, la droga, alcune parole pittosto che altre, alcuni gesti che vengono classificati come bravate ma che possono essere molto pericolosi.
Così sono gli adolescenti, chi più chi meno....si nascondono dietro maschere che portano solo a spezzare, o perlomeno rovinare, le loro ali...farfalle che non voleranno più leggere e felici come prima perchè oppresse da un vento potente: l'illusione di una vita facile, senza fatiche e l'illusione che se si è come gli altri allora si va bene, altrimenti si è spazzatura.
Fragilità che non portano alla luce le loro grandi qualità...maschere che dobbiamo aiutare a togliere!

Vita...tra amore, dono e morte


Afghanistan, sei parà italiani della folgore morti. Sei giovani vite spezzate per sempre...ricordo indelebile nei cuori di chi gli viveva accanto ed esempio per tutti noi. Sei giovani con le loro ansie e paure partiti per una terra lontana, una terra di guerra. Giovani con una grande missione, chiamati a portare la pace! Uomini che donavano ogni giorno la loro vita per garantire un minimo di sicurezza, mani che portavano cibo e aiuti alla popolazione provata, sorrisi e sguardi che donavano serenità ai bambini....riportando, per chi era papà, il viso del figlio. Figli che attendevano con ansia i loro genitori, figli orgogliosi dei loro papà. Figli che ora versano lacrime...e figli che ancora una volta sanno stupire, come i loro genitori.

venerdì 25 settembre 2009

...viviamo in un mondo di miracoli: ogni uomo!


" Dio è qui ora, accanto a noi.
Possiamo vederlo in questa nebbia, in questo suolo, in questi abiti, in queste scarpe.
I suoi Angeli vegliano quando noi dormiamo e ci aiutano quando lavoriamo.
Per ritrovare Dio, basta guardarsi intorno! "

(Paulho Coelho)

mercoledì 2 settembre 2009

Con occhi nuovi...

Ed eccomi qui! Le vacanze ormai sono finite...direi volate! Ho passato questi tre mesi tra i monti con tanti ragazzi, tra attività, scampagnate, giochi, risate e anche qualche pianto. Giorni magnifici e molto intensi!...sinceramente un pò di stanchezza si sente, ma il cuore è pieno di gioia...ecco il bello di essere animatori/educatori francescani e di AC!
Oggi scorro le foto, riguardo le dediche che mi hanno lasciato, rivivo dentro di me momenti e volti, parole e silenzi...è ancora tutto un groviglio immerso nelle emozioni, ma qualcosa piano piano esce:
ricordo i volti dei ragazzi all'entrata della colonia, chi spaesato, chi fremeva, chi già sentiva la nostalgia di casa....e ricordo i loro occhi l'ultima sera davanti al fuoco, occhi sorridenti, pieni di vita, occhi bagnati di lacrime per "l'arrivederci al prossimo anno" del giorno dopo.
Ricordo il piccolo Davide che ogni mattina si arrampicava, come una scimmietta, su di me per darmi il buongiorno con un bacino....Francesca con i suoi grandissimi occhi blu....le infinite parole di Aurora....la timidezza di Irene....la simpatia di Alessandro....la dolcezza di Giorgia...potrei continuare per ore ad elencare tutte le magnifiche creature che hanno reso splendide queste giornate.
GRAZIE! Grazie ragazzi, grazie animatori che siete stati come fratelli e sorelle...grazie ai cuochi...e un grazie speciale ai frati:i nostri angeli custodi! E per ultimo, ma non meno importante, anzi....GRAZIE GESù! Grazie perchè in ognuno di loro ho incontrato Te!

lunedì 24 agosto 2009

La gioia di cambiare...di vivere!

Una splendida e significativa testimonianza di una ragazza; una ragazza che ha avuto il coraggio di cambiare. Un cambiamento avvenuto grazie ad una tour in Sardegna, ma soprattutto un cambiamento avvenuto grazie ad una grande famiglia di giovani...per dimostrare che assieme si possono fare tante cose, tanti passi per il bene...importante è avere una meta, essere pellegrini, non vagabondi!


CIAO a tutti! C'è molto da dire veramente, ma non vorrei portarvi all'esasperazione scrivendovi un saggio di decine di pagine.
La mia esperienza la dedico a tutti e in particolare alle persone che forse ora si sentono sole, soffrono e credono non ci sia nessuno che possa capirle o aiutarle... Vi parlerò del prima e del dopo per darvi una giusta idea di quello che hanno significato per me le Pelli.

Vi parlo di una ragazza di 24 anni che finita l'università andò a lavorare a Londra (l'amore della sua vita). All'inizio tutto era ok ma piano piano senza rendersene conto andò in frantumi letteralmente, fisicamente e psicologicamente.
Il 19 giugno mi sentii male per la seconda volta mentre ero con amici... e bastò per far chiudere la vera Paola in un "cassetto" della sua testa e per rimpiazzarla con un fantasma.
Da quando tornai a casa a settembre Paola, io, me stessa non esisteva più, non viveva più. Lei c'era fisicamente ma dentro il meccanismo fantastico che è in ognuno di noi, che ci fa vivere al 100%, ridere e mettersi in gioco si era fermato, era bloccato da qualcosa che si chiama ansia...
Ogni giorno era un giorno NO!! Ogni giorno Paola voleva uscire con gli amici o accompagnare la mamma a fare la spesa o andare a correre ma non si poteva fare perchè c'era il fantasma di lei. Il fantasma chiamato ansia era pronto ad attaccare, a farsi vivo e a bloccare i suoi movimenti...
e puntualmente egli la attaccava e la bloccava...
Questo andò avanti mesi e mesi...
E ti senti da schifo, pensi di non essere in grado di uscirne, pensi di non riuscire a tornare normale. Forse alcuni ora staranno pensando "esagerata!!" ma credetemi se non ci siete mai passati in un abisso del genere non potrete mai capire.
A complicare il tutto vi era anche la situazione che vivevo 24 ore su 24 in casa mia: mia mamma ammalata di parkinson oramai da 3 anni non era più mia madre, non la vedevo tale, tutto in lei era cambiato, quasi spento. Tutto, eccetto il suo morboso attaccamente per i suoi figli.
Quindi per farla in breve: io non c'ero con la testa, ero tutto il giorno in casa e per mesi con mia madre che mi chiamava in media 30-40 volte al giorno per delle stupidaggini e io che mi ODIAVO perchè non riuscivo a risalire dalla corrente, io che non ce la facevo a venirne fuori.
Ricordo ancora il giorno in cui una mia amica mi chiese se volevo andare con lei in Sardegna e con il suo gruppo che si chiamava "Pelli non so che". Era marzo o aprile. Io le risposi che mi sarebbe piaciuto veramente ma che con i problemi dell'ansia che avevo era impensabile, cioè non ci sarei mai riuscita......
Poi piano piano le cose iniziarono a migliorare perchè dopo due mesi di gocce ero riuscita a sbloccarmi e l'ansia si sentiva meno, la sentivo meno dentro di me e dentro alla mia testa.
Ma restava comunque un altro peso, un'altra angoscia enorme, insormontabile: mia madre!
Come potevo accettare il fatto che ora era ammalata? XKE proprio lei?
Dentro di me sentivo un'angoscia, una tristezza tanto profonda come se lei fosse morta. E me la prendevo con Dio, cosa che fa spesso la gente quando non sa dove sbattere la testa. Perchè sentivo che non mi aiutava e non aiutava lei: non sentivo nulla da Lui. Zero risposte e zero aiuto.
All'inizio cercavo di essere paziente con mia mamma, 1,2,3,4,5,6 volte ma poi quando non ce la facevo più mi incazzavo con lei, le urlavo dietro tanto da aver male alla gola e le bestemmiavo addosso. Si bestemmie, una dopo l'altra.
Quella era l'unica cosa che potesse ferirla e che voleva che io non facessi: allora io lo facevo. Io ferivo mia madre come non lei, ma il suo parkinson, stava facendo con me. La sua malattia stava annientando me, bello no??! E così passavano i giorni... E più stava male lei più stavo male io.
Questo era il PRIMA. Questo ero IO prima.

Arrivò la partenza per la Sardegna. Non sapevo NULLA di quello che "loro" chiamati Pelli Sintetiche avevano organizzato. Effettivamente non sapevo neanche chi fossero. Vuoto totale.
Il primo giorno è stato duro perchè il viaggio sembrava interminabile ed è anche nebuloso poichè sentivo ansia.
Ma fin dall'inizio percepivo qualcosa di strano, non so come spiegarlo. Tante risate, abbracci, baci, sorrisi, .... tanti, forse troppi per i miei gusti!!
Ragazzi/e che guardavano, fissavano altri ragazzi in un modo strano... boh, non capivo.

La domenica sera la prima cosa che mi ha alleggerito il cuore e l'anima: le risate!! A cena due ragazzi hanno iniziato sparare battutte e stupidaggini di tutti i colori e io ho riso, riso fino alle lacrime. Era forse un anno o più che non ridevo così. Li ho perfino ringraziati anche se immaginavo che sarebbe sembrato stupido ringraziare qualcuno xke mi aveva fatto ridere!!...Ma volevo dirglielo, farglielo sapere comunque.

Il concerto:
Il primo concerto da Pelli. Indescrivibile. Continuavo ad essere ansiosa, agitarmi. Xke? Non sapevo che dovevo fare! A tutti dicevo che non sapevo i testi e non sapevo come ballare le canzoni e tutti mi sorridevano e mi rispondevano "Massì, fai quello che riesci.... fai quello che ti senti di fare.... non importa puoi ballare come vuoi...."
A concerto finito sentivo un qualcosa attorno a tutti noi: gioia, felicità, allegria, sguardi che ti trasmettevano tante cose, tante sensazioni ma soprattutto AMORE, UN VOLERSI BENE PROFONDO, VERO, PALPABILE.
Li guardavo dal palco, da sola. Tutti si abbracciavano e si bisbigliavano qualcosa o si baciavano. Io li guardavo perplessa, sbalordita e per pochi minuti non capivo il perchè di tutta questa commozione.
Poi, piano piano, da persona esterna che ero e che mi sentivo sono stata inglobata anch'io dalla marea di abbracci, ringraziamenti, frasi bellissime e POTENTI. Inutile cercare di spiegare le sensazioni provate.. Come se fossero tutti mia sorella o mio fratello (e li conoscevo solo da 2 giorni!!!) Straordinario...
Anche le canzoni e il ritmo delle Pelli sono fantastici: quando suonavano i djembe non riuscivo a stare ferma, è come se il ritmo "mi imponesse" di muovermi.... è una cosa bellissima. Mentre balli e canti non hai e non senti nessun problema che prima ti assillava, ti diverti ma bensì ringrazi il Signore di essere lì in compagnia con queste persone splendide e quando incroci gli sguardi degli altri senti che la felicità ESPLODE dappertutto!!!!! E' stata una cosa senza precedenti a tutti gli effetti!!!


Condivisioni:
Una cosa importante e intensa che facevamo ogni giorno era la "condivisione" ovvero divisi a coppie ci si parlava e ci si conosceva. Personalmente se ci ripenso ora, credo che quello che abbiamo più condiviso con le persone che ci stavano di fronte fosse la nostra ANIMA!
E' vero. Non lo scrivo per fare impressione o perchè sembra una cosa "tanto carina da scrivere".
Parlando con i diversi ragazzi, mettevo tutte le carte in tavola, positive o negative che fossero; tutte le carte del castello che avevo costruito nella mia testa. Un castello le cui fondamenta erano la paura, l'angoscia, il rifiuto di Dio, il creare grossi problemi da piccoli imprevisti della vita!
HO PARLATO MOLTO.
Ho detto tanto, tutto quello che mi angosciava l'ho buttato fuori e tutti mi hanno aiutato con frasi profonde, cariche di significato; tutti mi hanno fatto capire veramente che vivere la propria vita con Dio, pregando, FA LA DIFFERENZA. E me l'hanno fatto capire e continuano a farlo anche ora attraverso le parole ma tanto più attraverso ogni loro gesto di vero affetto, sorriso, abbraccio ed esperienza personale.

Che dire ancora?
Quella settimana è stata ed è tuttora fondamentale per il mio cambiamento, la mia trasformazione.
Si, mi sento molto come Peter Parker che dopo la puntura del ragno inizia la sua repentina metamorfosi in Spider-man.
Sento che il tour di soli 7 giorni mi ha cambiato ma non voglio dire con questo che ora sono prefetta e ho capito tutto dalla vita ecc ecc.. NO.
Ha spento in parte l'interrutore di certe preoccupazioni e angosce che continuava a logorarmi ed ha acceso la luce nella mia testa e nella mia anima, che ultimamente "soffriva DI BRUTTO!"

Ora finita l'esperienza bisogna ritornare alla normalità, alla quotidianità, al fatto che certe cose della tua vita non vanno come vorresti o come le avevi programmate. Ma del resto come dice Anthony De Mello ("scoperto" grazie ad un libretto preparato per il tour) la realtà non si può cambiare e cercare di cambiarla e da pazzi!!
Prima delle Pelli cercavo disperatamente e morbosamente di cambiare mia madre, di farla tornare come era 3 anni fa, ma è impossibile, da pazzi!! Ora non più. Ho capito.

Non so effettivamente che fare del mio futuro, non lo so ancora anche se ho 24 anni, non so che lavoro fare, non so quanto e come peggiorerà mia madre, non so tante cose........
Ma SO che Dio ci aiuta e ci segue sempre, anche se non lo vediamo o sentiamo, e questo grazie a voi PELLI SINTETICHE.
Mi avete dato tanto, tantissimo e cercherò di dare anch'io tanto nella mia vita e soprattutto al prossimo.
Non è facile e non sarà facile ma voglio crederci e provarci.......come voi!!
Un vero ed enorme grazie di cuore a tutti quelli del Tour, siete sempre con me!!
Un bacio a tutti tutti

lunedì 27 luglio 2009

...Grazie piccole anime belle per avermi riempito il cuore

Ancora una testimonianza dall'ospedale di Gornja Bistra..

Da dove inizio?? mmmm...bè posso iniziare con il dire che il gruppo con cui sono partita era fantistico, che più strano e improbabile da mettere insieme non si poteva. Ma da subito, tra di noi è scattato qualcosa di particolare: era come se ci conoscessimo tutti da una vita, come se avessimo già fatto un viaggio insieme e questa dolce sensazione ci ha tenuto compagnia per tutta la settimana...anche durante gli imprevisti! ( il pulmino che magicamente ci chiude fuori (grazie ale davvero!) e la casetta che per poco va a fuoco).
...ora però arriva la parte difficile...
dunque..mmm....(ma quanto è difficile???????) al nostro arrivo, ad aspettarci in casetta c'era la referente, Cristina una ragazza tanto dolce e con la testa un pò tra le nuvole: pure con lei abbiamo avuto la medesima e reciproca sensazione di conoscerci già.
ovviamente è lei che ci ha fatto da "cicerone" all'interno dell'ospedale...
Non appena entrata in quel vecchio castello, i miei pensieri hanno iniziato a viaggiare velocissimi e si sono scollegati dal resto del mondo; durante quella settimana per me non c'è stato nient'altro.
Poi, mentre Cristina ci spiegava alcune cose, ho iniziato a dare una sbirciatina qua e la nelle camere e subito è nata la prima di una lunga serie di domande: che cavolo posso fare io per questi bambini??? la risposta è stata: NIENTE. ero disorientata davanti a quello che vedevano i miei occhi e non sapevo davvero cosa fare: la vera disabile ero io.
Poi, i bambini hanno fatto la magia: mi hanno reso cieca e i miei occhi non vedevano più nè handicap, nè deformità, ma solo piccoli angeli con una grande voglia di vivere e un profondo attaccamento alla vita. Cose che ha me ha trasmesso in modo particolare la mia ragnetta Kristina: con le sue piccole manine si attaccava forte al camice (o camicie? bo!) e non lo lasciava più... ed io non volevo lasciarla più!
Dopo pochi minuti passati in ospedale con i bimbi, ho capito che non dovevo fare niente, se non lasciarmi guidare dall'amore...che inevitabilmente, inizi a provare per questi "esseri speciali"...poi ogni cosa sarebbe venuta da sè.
E così è stato: ogni istante passato era un susseguirsi di emozioni...ogni loro piccolo gesto era un avvenimento e una festa per tutti noi (il piccolo Leo ha imparato a gattonare!).
In 7 giorni, mi sono resa conto che questi bambini, percepiscono ogni tua emozione e stato d'animo...e se penso al gesto che Tyson ha fatto sabato sera mi vengono i brividi: mi avevano appena portato via (mi hanno strappato la carrozzina dalle mani) la mia Kri, e mi era venuto da piangere...lui stava mangiando con Cristina, (la referente) ed io mi sono seduta vicino a loro..Tyson quando mi ha vista, ha allungato una manina e me l'ha passata sulla guancia....è stata un'emozione fortissima.
Ora porto dentro di me questo tesoro, che custodirò con gelosia.
Porto dentro i loro sguardi, i loro sorrisi, le loro grida, i loro silenzi....silenzi che raccontano il loro mondo. La vera missione in 7 giorni sono stati loro a compierla...sono riusciti a donarmi qualcosa di immenso...loro stessi.
ed io, cosa sono riuscita a donare a loro? non lo so...ancora non l'ho capito...
Quello che però ho capito è che ogni vita non è vana...MAI! che:
"...siamo noi gli inabili che pur avendo a volte non diamo..."

é stata un'esperienza bellissima...e ancora non faccio che pensarci...
Grazie piccole anime belle per avermi riempito il cuore....
Ritina

sabato 25 luglio 2009

..c'è sempre qualcosa da imparare!

Ecco la testimonianza di Giulia, ragazza in missinoe a Manaus con il gruppo Ra.Mi (www.ragazzimissionari.it).

UNA mattina come un’altra nelle assolate strade di Manaus, Amazzonia, Brasile.
Nel quartiere di Coroado il traffico a volte sembra scorrere intenso, neanche si fosse a Time Square: solo che a travolgerti non sono le mercedes o le fuoriserie di ricchi uomini d’affari occupati tutto il giorno ad accumulare soldi sulle spalle altrui, ma le carrette succhiabenzina che pochi fortunati si possono permettere per correre in qua e in là, cercando di lavorare furiosamente per arrivare a sera con qualcosa da mettere in tavola, sono i motorini scassati di quelli un po’ meno fortunati che si accontentano di girare il bairro, se tutto va bene, prima di celebrare le esequie del proprio mezzo di locomozione, sono le biciclette oppresse dal peso a volte di un’intera famiglia, che riescono a malapena a condurre una mamma e il suo figlioletto di nemmeno tre anni verso un asilo piccolo, bianco, ben curato, dove quattro signorine vestite di bianco e di azzurro lo cureranno amorevolmente fino a sera.

È finita un’altra giornata di duro lavoro per gli abitanti del bairro di Coroado, Manaus, Amazzonia, Brasile.
Il traffico che tutto il giorno imperterrito ha continuato a scorrere come un fiume in piena, come una corsa all’infinito alla ricerca di chissà che cosa, sta piano piano rallentando. Sono dei girasoli, questi brasiliani: il loro ritmo si accorda perfettamente a quello del Sole, e quando questi dà segni di stanchezza, e comincia ad avvolgersi molto velocemente di calde coperte rosse prima di sparire nella notte più buia, ogni occupazione giornaliera si volge lentamente al termine, e tutto ciò che è sole, che è ricerca, che è affanno e fatica di costruirsi attorno una Vita Migliore reclina il capo dolcemente, e lascia spazio alle attività notturne, quelle che si lasciano andare alla disperazione, al bisogno di calore, qualsiasi calore umano, al desiderio di fuggire da una situazione che non vuole cambiare, all’abbandono in tutto ciò che può sembrare un rifugio abbastanza gradevole.
Ma questa è la notte, è l’altra faccia del popolo che soffre ridendo, quando il sole è alto, e se si lascia andare è solo al coperto delle tenebre di una notte silenziosa, che saprà mantenere il segreto.

IN mezzo a tutto ciò c’è quel fugace momento, quello in cui una faccia del mondo passa il testimone all’altra, quella in cui il Sole comincia a cambiare vestito, quella in cui i ragazzini sono ancora per strada, a piedi, e tornano da scuola, senza troppa fretta perché chissà cosa li aspetta a casa, e allora perché non dilungarsi ancora in una risata, un gioco, uno scherzo rubato a quel tempo così piccolo quando ancora il giorno non è andato a dormire, c’è ancora tempo per giocare con un aquilone.
I ragazzini si mescolano all’ondata di persone che non hanno né carrette succhiabenzina, né carretti veri e propri, né motorini scassati, né biciclette piegate dal peso di tanta gente, ma semplicemente i loro piedi, a volte scalzi, altre muniti di ciabattine da quattro soldi, qualcuno chissà, forse con un paio di scarpe quasi vere.
Me ne sono accorta fin dai primi giorni della mia permanenza all’asilo delle suore di Madre Teresa, a Coroado: me ne sono accorta proprio durante uno dei miei lavori, che era quello di sistemare le scarpette dei bambini tutte in fila su un tavolinetto, pronte ad essere riconosciute dalle loro mamme una volta giunta l’ora di tornare a casa… i poveri non sono tutti uguali.

OGNI essere umano, da che mondo è mondo, ha la tendenza di semplificare i concetti che si formano nella sua mente, al fine di ricordarsene in grande quantità, e molto più facilmente: così ci sono i ricchi da una parte, e i poveri dall’altra.
Ma se io dicessi una cosa del genere a quella che era la mia vicina di casa, a Coroado, non mi capirebbe. Esistono numerose differenze anche tra quelli che noi banalmente chiamiamo “poveri”, e sono più esattamente indicate dal fatto di avere una casa in legno o in muratura, di abitare in un’invasione o in un bairro, di avere la porta o meno, di avere un letto e un fornello oppure no, di avere semplici sandaletti appuntati con una spilla per non fare uscire l’infradito, o delle scarpette chiuse che possano perlomeno dirsi indossabili… e via dicendo.
I poveri non sono tutti uguali.

QUEL pomeriggio, esattamente in quel momento della giornata dove tutto sarebbe cambiato da un momento all’altro e presto non si sarebbe più potuto dire “boa tarde” ma “boa noite”, stavamo aspettando esattamente come tutti gli altri giorni che le mamme venissero a prendere i loro piccoletti, dopo una giornata passata magari a cercare lavoro, con almeno la tranquillità e sicurezza che i loro cuccioli erano protetti ed erano stati nutriti, rivestiti, lavati come sempre, e che come sempre grazie alle cure delle suore avevano potuto passare una giornata giocando come ogni bambino, divertendosi, preparandosi ad accogliere la loro mamma con un sorrisone che le avrebbe ripagate di tutta una giornata di fatica passata a sudare sangue per il loro futuro.
C’è una finestrella, con delle sbarre per evitare che i bambini si facciano male, che dà al cortiletto circondato dalle mura e dal cancello: lì i bambini spesso si affacciano aspettando la mamma, e stanno sempre con il nasino all’insù, guardano sempre qualcosa nel cielo con un’attenzione esorbitante. I primi tempi non ci facevo molto caso, tutta presa dalle ultime cose da fare, pulire i bambini dalle briciole dei biscotti, rimettere a posto i pochi giocattoli, rifare i loro zainetti… Ma poi quel pomeriggio non potei fare a meno di dar retta alla mia curiosità, e cominciai ad osservarli molto attentamente, per cercare di capire di che cosa quei bambini si stavano così meravigliando.

GLI AQUILONI, c’erano gli aquiloni nel cielo, quelli dei ragazzi che tornavano da scuola, che loro non avrebbero avuto mai forse… i bambini si incantavano a vederli fluttuare nel cielo, desideravano anche loro averne uno, allora si inventavano un gioco, e la loro fantasia li aiutava a realizzare almeno per finta un loro piccolo grande sogno. Con la creatività di chi non ha niente ma non può disperarsi, perchè è solo un bambino, questi piccoletti cominciavano ad agitare le manine come se questo aquilone fosse diretto proprio da loro, e si divertivano così, fingendo di godere di un piccolo privilegio che la loro condizione non gli permetteva. Così sembrava proprio che l’aquilone fosse loro, così la cosa non arrivava a saturare i loro pensieri, magari a tormentarli e a far tormentare la mamma di capricci inutili anche perché irrealizzabili, e forse per questo più frustranti.
No, la cosa non poteva essere di loro possesso, ma non per questo si impossessava di loro…
E questo è un comportamento diffuso, che ho visto fare molte volte da tanti bambini anche un po’ più grandi, questo gesto così tenero di far finta di avere un aquilone di qualcun altro, e di dirigerlo con quelle manine verso il cielo… quante volte l’avrò visto fare per le strade di Coroado, e non solo!
E quanto da imparare ancora!

martedì 21 luglio 2009

Non è semplice imparare a volare...ma si può!


Eccomi qui, più o meno riposata, dopo un camposcuola con 53 fantastici e terribili ragazzi. Sono passati solo due giorni e già mi mancano i loro sorrisi, le loro battute, le camerate in disordine, il caos di notte e il sonno durante il giorno, i giochi, i pianti. Sono tornata stanca perchè è stato un camposcuola molto impegnativo a causa del numero ridotto degli animatori e tutti giovanissimi, ma ne è valsa la pena!

Il filo conduttore di tutto il campo è stata la storia della gabbianella e il gatto...una storia un pò "antica" se vogliamo, ma che dona sempre nuovi spunti per riflettere. Tante sono le domande che hanno spronato noi animatori e ragazzi...e come sempre ad alcune non c'è risposta.

Quanto amiamo le persone che ci stanno accanto? Sentiamo il bisogno di avere qualcuno vicino? Siamo disposti a rinunciare a qualcosa per aiutare o far contenti altri? Sentiamo di appartenere ad una comunità e nello stesso tempo sentirci unici? Abbiamo dei sogni che vorremmo a tutti costi realizzare?.....Quanto amiamo la nostra vita?

Non a caso ho messo per ultima questa domanda. Tornata dal campo ho appreso la notizia che la mamma di Gabriele (ne ho parlato in un post precedente) è volata in cielo. Appena ho ricevuto la notizia mi sono pietrificata, poi ho capito che per lei, l'amore verso suo figlio, lo stare con lui e stato più grande del suo desiderio di vita, che ormai non aveva più significato senza quel figlio tanto amato. Una frase è stata scritta: assieme, adesso come prima e per l'eternità. Mi auguro che questi due angeli veglino da lassù sulle mamme e sui figli che hanno perso il loro grande amore, donandogli la forza di sorridere ancora alla vita, nonostante tutto.

mercoledì 1 luglio 2009

Uomini sotto le stelle...persone che cercano amore!


Esperienza forte è stato anche un servizio alla mensa dei poveri romana della comunità di Sant'Egidio. E' indescrivibile ciò che ti viene donato e ciò che resta anche nel cuore degli altri volontari. Di seguito c'è una testimonianza di un volontario che ha trascorso con me quei giorni.

In questi giorni dal mio ritorno da Roma, ho pensato e penso ancora all’esperienza fatta! È stata un’esperienza meravigliosa… tra le più belle che ho mai fatto! Come ho detto domenica mattina nel momento di condivisione, mentre svolgevamo il nostro servizio, non mi son preoccupato tanto di farlo alla luce della Parola! Soprattutto la sera, quando eravamo in mensa la mia unica preoccupazione è stata quella di svolgere al meglio il compito che mi era stato assegnato. Forse per carattere! Quando faccio qualcosa che riguarda gli altri tendo sempre a farla bene! Però di una cosa sono certo, mentre ero lì a servire, involontariamente la mia prima preoccupazione è stata di porgermi con un sorriso a tutte le persone che si sedevano a quel tavolo! Non lo so, ma dentro me, nonostante la consapevolezza che quelle persone erano li a cercare un pasto, sentivo che forse la prima cosa che dovevo donargli era un sorriso! Un qualcosa che li facesse sentire ben accetti, non visti e fatti sentire come emarginati… E poi ho ancora nella mente l’immagine di quella bambina seduta li a quei tavoli! Ho avuto la “fortuna” di non averla seduta al mio tavolo! L’ho vista sola per un attimo…però ricordo di essermi chiesto e chiesto a chi era di fianco a me: “ma come ci sta anche una bambina…?” non mi è venuto niente altro in mente… non pensavo di poter incrociare li anche una bambina… mi ero dimenticato che la povertà non sta a guardar la carta di indentità… e che anzi sono propri i bambini ad esser le prime vittime…

Penso spesso all’egoismo che ci circonda! Alla gente che molto spesso pensa solo a se stessa, al proprio egoismo, alle proprie comodità occupando od ostruendo per esempio il passaggio ad un disabile! Fregandosene degli altri e magari calpestandoli!!! Tornando da Roma mi è capitato di pensare ancora a tutto questo! Mi son reso conto che indifferente lo sono stato anch’io! Venerdì, prima di venir da voi, girando per Roma di poveri ad elemosinare ne ho incrociati, eppure mi son passati di fianco quasi indifferentemente, come se nulla fosse! Forse perché non avevo nulla da dargli, o forse perché nel vederne tanti alla fine l’ occhio ci si abitua!!! Eppure li ho evitati e chissà quante altre volte lo farò!
Eppure quel servizio dato alla comunità e alla mensa mi ha riempito! Forse perché li ho dato qualcosa che, al contrario di qualche spicciolo dato per carità, sento più mio: il mio tempo e il mio donarmi!!! Forse perché per me donare è normale! Quando qualcuno mi chiede un favore trovo più facile dirgli di si anziché no!

Dell’ esperienza vissuta in qui giorni, porto anche dentro me quanto è stato bello vivere l’esperienza del servire il prossimo e di condividere tutto ciò con persone magnifiche… alcune delle quali non avevo mai visto e con le quali mi son trovato subito a mio agio! Quasi ci conoscessimo da prima! Forse è tutto qui il segreto dell’amore: donarsi e condividere tutto con l’altro…
Tra le varie immagini che ho impresse nella mente ci sta proprio quella di noi alla mensa indaffarati e a volte impacciati dinnanzi ad una realtà che non era la nostra! Il cercare aiuto nello sguardo e nel sorriso di ognuno di noi, quando soprattutto all’inizio non sapevamo da dove iniziare e dove andare… e in tali sguardi, nei sorrisi, nella gioia e nell’entusiasmo che ognuno di noi aveva, trovare la voglia di far la propria parte indipendentemente del risultato… tra le varie fotografie scattate nella mia mente questa è una di quelle che più difficilmente scorderò…
In questi giorni ho elaborato l’esperienza fatta alla luce della Parola! Molto spesso si dice che Gesù lo si trova negli altri. Marianna mi hai scritto “...Negli occhi degli altri riconoscerò i Suoi occhi e
sarò solo lo strumento del Suo Amore!” Io il Signore non l’ho incontrato negli occhi e nei gesti di quelle persone che cercavano un pasto caldo, ma in tutti voi…nei vostri gesti nel vostro donarvi agli
altri…nelle sensazioni scambiateci… Mi è tornato alla mente quel brano del vangelo in cui Gesù dice “avevo sete e mi avete dato da bere, fame e dato da mangiare, nudo e mi avete vestito…” “…ogni volta che avete fatto questo a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me...” e quel sabato sera è stato proprio così!

Ecco questa è la mia testimonianza! Lo so, non è nulla di particolare, ma ho sentito il desiderio di comunicarla a te e a tutta la comunità. Forse perché ogni esperienza un qualcosa lo lascia sempre...

grazie ancora di tutto
Francesco

domenica 28 giugno 2009

Un sogno senza fine...






Sono già passati due anni da questa magnifica esperienza, però rivivo ogni giorno dentro me episodi simpatici ed anche commoventi.
Con il movimento: Pelli Sintetiche ( http://www.pellisintetichefamily.com/ ),del quale faccio parte anch'io, abbiamo girato vari luoghi del centro Italia cercando di portare il nostro stile e di dare servizio in una casa riposo,in un centro per disabili, nonchè portando un pò di gioia e divertimento per le piazze, con le nostre musiche e balli.
Vivendo in semplicità, alloggiando un pò dove capitava con il sacco a pelo e come unica certezza la nostra voglia di vivere,di stare assieme,di gioire per una doccia o un pasto caldo!
Un'esperienza che veramente mi ha aperto gli occhi su molte cose e mi ha arricchito immensamente!
Di seguito ho inserito un'e-mail che avevo mandato ai miei compagni di viaggio,ai miei fratelli!

Ciao! Eccomi qui,dopo cinque giorni di distanza da te,da voi e da questa magnifica esperienza. Solo ora riesco a “riordinare” il pensiero e a trovare e gustare i vari momenti,i sentimenti e tutto ciò che ha composto questi sette giorni vissuti assieme. Di cose da dire ce ne sarebbero tantissime,cercherò di essere breve,anche se un poema uscirà lo stesso,quindi se hai tempo inizia a leggerlo…!!!
Inizio dalla parola:differenza…una parola che a volte fa paura perché fa rima con diffidenza. In questa settimana abbiamo vissuto dentro la differenza;differenza di carattere e persona e differenza dovuta a varie problematiche(nei due centri che ci hanno accolto)…una differenza che abbiamo amato e vissuto con gioia…pensavo a un paragone strano,curioso(o del tutto pazzo!):i nostri piedi! Con le scarpe,le maschere,sembrano tutti uguali….ma invece non esiste un piede uguale all’altro:dita lunghe,corte,storte,dritte…la pianta del piede poi mostra singolari “percorsi geografici”. In questo tempo abbiamo imparato a conoscere le nostre diversità e le diversità delle tante persone incontrate. Ho imparato a scoprire come dietro a ogni limite abitasse un motivo,una spiegazione,una ferita. Che fatica trovare un passo comune…che fatica,a volte, ascoltare i piedi propri e quelli degli altri,ma che forza dalla consapevolezza di andare tutti verso una stessa meta pur nella diversità di ciascuno…che forza dalla coscienza di dover per forza arrivare ma di non poter farlo da soli in salita…che bello l’aiuto reciproco…la diversità è fatica,la diversità è stupore…può tradursi in rifiuto o ricchezza…e per noi è stata un immenso tesoro!
Passo ora alla provvidenza ed alla speranza che ci ha accompagnato…Speranza che illuminava gli occhi degli anziani che abbiamo incontrato e riscaldava,anche se per poco,il loro cuore. Se non ricordo male in ebraico speranza si traduce con: tikvà,che significa anche corda;è bello sapere che la speranza abbia un’anima di corda. Nella parola tikvà c’è il senso di essere legato a qualcuno che non lascia soli. Sì,è una questione di cordata in fondo,la fune può essere bella forte finchè vuoi, ma se quando scali una montagna il compagno a cui sei legato è un irresponsabile,un inaffidabile,il rischio di farsi male c’è,e una buona corda non ti salverà. Per sperare davvero bisogna sperare in qualcuno che non ci deluderà….e che in questi giorni non ci ha affatto deluso!! Qualcuno che ci sta davanti,che ci guida sicuro verso la vetta,che ci aspetta se ci fermiamo,che non ci lascia cadere. Qualcuno a cui legare la tikvà,la corda-speranza,nell’assoluta certezza che,non c’è trucco e non c’è inganno,ci arriveremo davvero lassù in cima….Noi questo Qualcuno l’abbiamo incontrato ed è stato,come diceva Giacomo,il diciannovesimo compagno di viaggio,un tipo veramente fuori dal comune che amava la libertà….e che in questa settimana non ci ha fatto mancare nulla,anzi ci ha donato moltissimo,forse troppo!!!
Mi rendo conto che ancora oggi faccio fatica a trovare le parole per spiegare questo sogno senza fine,come ha detto Alessandro,che si esprime pienamente solo nel mio cuore,nei nostri cuori…Per questo traduco tutto ciò che vorrei dirti con un immenso grazie e un mega abbraccio…concludo dicendo:Ti voglio bene.
“ti”:a te,personalmente,per come sei,per quello che fai,per quello che significhi per me.
“voglio”:sono io a volerlo e non qualcun altro,sono io che lo sento dentro. E siccome lo voglio farò di tutto perché continui ad essere così.
“bene”:perché ho imparato a conoscerti e desidero il tuo bene,la tua felicità…desidero che il sorriso che era sempre stampato nel tuo viso non svanisca mai!!
Grazie fratelli e sorelle!!
Marianna

martedì 23 giugno 2009


"La misura dell'amore è amare senza misura" (Sant'Agostino)


Quando nasce un bambino, la prima azione, dopo averlo guardato in viso, è dargli un nome. Chiamarlo per nome. Tutto al mondo funziona così! Niente potrebbe esistere senza essere chiamato in un certo modo, senza poter essere riconosciuto attraverso le lettere di una parola, una vibrazione. Ciò che gira intorno a noi, e a volte anche ciò che sentiamo dentro, rimane lontano fino a che non lo rendiamo nostro. Funziona così anche per le emozioni, per i sussulti dell’anima, per le relazioni di ogni genere che ci coinvolgono. E nulla sembra essere mai perfetto. Perfetto si può dire di un ideale e invece l’amore, in tutte le sue forme, seppur è qualcosa di meraviglioso, sa fare anche male, sa essere duro e ingeneroso.
“Amore e desiderio sono due cose distinte: non tutto ciò che si ama si desidera, né tutto ciò che si desidera si ama” (Miguel De Cervantès)
Per questo, dobbiamo sforzarci di dare un nome alle cose. Non a caso la gamma infinita di relazioni che posso instaurare con un’altra persona porta a dare a ognuno un posto, un ruolo, a volte anche “scomodo”. Così le emozioni che viviamo sono come quel bambino. Ognuno di noi ne è genitore, felici di poterlo finalmente chiamare per nome, nonostante le difficoltà. Ognuno può stringere tra le braccia la sua vita solo se è consapevole della fragilità, della cura di cui ha bisogno, ma anche della forza che già il suo minuscolo cuore sprigiona.

mercoledì 17 giugno 2009


GIOVANI TRA RICERCA DEL PIACERE E DIMENSIONE DEL RISCHIO

QUANDO LE PAROLE FANNO PAURA
Ci sono due parole che hanno a che fare con il mondo giovanile contemporaneo e che suscitano a chi le ascolta un disagio, un senso di fastidio, forse paura: droga e dipendenza. Droga è un termine che vuol dire sia medicina che veleno. Una sostanza insomma che può curare quanto far star male; dipendenza è qualcosa che ti lega, può essere ricercata, voluta, amata, oppure può far soffrire, costringere, odiare.
Sono due parole dai significati ambigui, che però caratterizzano la sperimentazione che in età adolescenziale si innesca, con processi che si modificano velocemente, cambiano da città in citta e da età ad età, svincolano fuori dalle statistiche e costringono spesso il mondo adulto a “correre ai ripari”. Di sicuro fa più paura ai grandi piuttosto che ai giovani. Droga per un ragazzo che sperimenta forme di divertimento nuove diventa stupefacente.
Dipendenza diventa libertà.
Provare oggi a entrare nel mondo giovanile vuol dire anche fare i conti con questa visione diversa: per un gruppo di amici il correre in motorino, l'ubriacatura al sabato sera, la musica alta, il video poker sono tutte forme di ricerca del piacere, spesso indotto da sostanze, spesso mischiato e confuso con il gusto di vivere insieme, l'omologazione dei pari, il desiderio di farcela da solo, la voglia di evasione. La ricerca del piacere porta a fare i conti con un aspetto che causa i maggiori problemi, cioè il rischio: il rischio di rovinare la propria vita, la propria incolumità psico-fisica, le amicizie, la possibilità di vivere in maniera sana un evento e in ultima analisi mettendo in rischio la propria e l'altrui vita.

I nuovi volti della dipendenza e del consumo
Oggi i volti della tossicodipendenza sono molto variegati. Non sono cambiati solo i protagonisti, sono cambiate anche le sostanze stupefacenti presenti sul mercato e le modalità della loro assunzione.
Il diffondersi del poliabuso
Il modello prevalente di consumo è il poliabuso: varie sostanze, legali e illegali, vengono usate alternativamente, in sovrapposizione e in supporto l’una dell’altra. Tra gli ultimi reclutati al consumo e alla dipendenza si evidenziano, sempre più numerosi, gli stranieri immigrati con o senza il permesso di soggiorno. L’abuso di alcol, cocaina ed eroina rappresenta spesso il capolinea di un progetto migratorio fallito, di fronte alle difficoltà di sopravvivenza e di inserimento nella società italiana. La maggior parte dei giovani “sperimentatori” di sostanze oggi si rivolge alle cosiddette nuove droghe o droghe di sintesi. Apparentemente meno pericolose, perché confezionate in pastiglie che si assumono per via orale, vengono utilizzate nei contesti di aggregazione e di divertimento, mescolate spesso all’alcol.
La problematica del “nuovo consumo”
La popolarità delle nuove droghe, penetrate in questi anni tra decine di migliaia di giovani più o meno trasgressivi che frequentano discoteche, locali di tendenza e rave-parties, impone oggi all’attenzione degli adulti la problematica del “nuovo consumo”. Un consumo da interpretare non come anticamera della dipendenza, ma come fenomeno di per sé, caratterizzato da rischi e danni specifici. Un dato comunque caratterizza oggi il fenomeno delle dipendenze e dei consumi. La sua continua evoluzione, che dà vita a sempre nuovi “assetti”. Questa fluidità del fenomeno chiede al mondo adulto un'attenzione costante per ripensare continuamente l’adeguatezza dei propri interventi.
Cannabis, la droga più diffusa
La droga illegale oggi più usata nel mondo è la cannabis. Dei 200 milioni di persone che si stima facciano uso di sostanze stupefacenti illecite, 163 milioni fanno ricorso a cannabis (dati Onu 2003).
Cocaina, un mercato in crescita
Da alcuni anni la cocaina, per l’abbassamento del prezzo di acquisto, è diventata accessibile alle tasche di molti giovani, meno attrezzati nel far fronte alle conseguenze di questo consumo. La pericolosità di questo nuovo fenomeno non può essere ulteriormente ignorata.
Alcol, la droga sottovalutata
Se è vero che l’uso di sostanze oblianti accompagna da sempre l’evolversi delle società, oggi prendiamo atto di quanto l’alcol sia proposto dai media e vissuto dalla maggior parte delle persone come elemento puramente piacevole e non problematico, normalmente presente nei momenti di incontro e di svago. Questo avviene nonostante sia evidente il tragico primato dell’alcol come causa di elevata problematicità e mortalità. L’alcol è la prima causa di morte per i giovani uomini europei. Il dato più preoccupante è tuttavia il fatto che l’alcol primeggia sempre di più nei consumi dei giovani.
L’approccio all’alcol sta diventando sempre più precoce. I giovani si avvicinano al bere per molte ragioni, che variano in base alle circostanze personali e sociali (desiderio di appartenenza al gruppo, ricerca di un sostegno per affrontare situazioni di difficoltà, vincere la noia, piacere del gusto, favorire la socializzazione). Le ragazze, pur bevendo meno dei ragazzi, si avvicinano ai modelli maschili di consumo, esponendosi a rischi gravi soprattutto in età fertile e durante la gravidanza.

UNA COMUNITA' EDUCANTE?
Il nostro contesto culturale tende a riconoscere la persona solo dai ruoli che questa riveste nella società e non dalle potenzialità o risorse che invece essa sa e può esprimere. L’identità che il giovane percepisce e si costruisce è troppo spesso lo specchio di ciò che gli viene restituito dall’insegnante, dal datore di lavoro, dal genitore, in un quadro incompleto dove viene tralasciato tutto quel prezioso mondo, strutturato o meno, del “tempo libero”, cioè slegato dalle incombenze della scuola o del lavoro. Questo tempo dovrebbe infatti rappresentare un luogo, per eccellenza, di espressione della persona, dentro al quale manifestare le proprie passioni, potenzialità e desideri. In realtà è un tempo che il mercato ha saputo riempire lasciando poco spazio alla spontaneità e all’iniziativa personale. Un mondo economico, quasi esclusivamente legato al solo consumo, che sta saturando il desiderio, colmandolo di false illusioni e vuoti emotivi. “Il tempo libero è stato privatizzato”. Sono i mercati a imporre il cocktail del divertimento: solo se bevi una certa bevanda e vesti in un certo modo c'è il Party, la festa, le belle donne. Un mercato che conosce tutti i meccanismi per indurre al consumo i giovani consumatori.
E' necessario che i soggetti che lavorano con i gruppi di giovani (insegnanti, allenatori, animatori parrocchiali) pongano al centro di nuovo queste tematiche. Parlare di stili di vita piacevoli e rischiosi non deve far paura ma può aiutare a far emergere le difficoltà, le vere problematicità che caratterizzano questi comportamenti. Il dialogo dev'essere franco, privo di pregiudizi, privo di indici puntati. informare e sensibilizzare con serate a tema è altrettanto necessario, ma risulta efficace solo se accompagnato da un importante lavoro sullo sviluppo della criticità. Non punire né condannare, ma portare i giovani a capire come solo una coscienza critica, libera, creativa, autonoma possa renderli veramente adulti significativi. (da internet)

martedì 16 giugno 2009


La vita è un ponte:

attraversalo,

ma non fissarvi la tua dimora...






domenica 14 giugno 2009

Disabilità non fa rima con solitudine

Qualche mese fa mi trovavo al concerto tenuto a Bologna da Jovanotti, artista particolare che ha saputo proporsi nel tempo in modo sempre diverso. Un grande comunicatore di concetti, oltre che un ottimo compositore ed esecutore. Quando il pubblico ha sentito l'attacco di Fango ("Io lo so che non sono solo...") subito è partito in un coro tale da sovrastare la voce del cantante. Fino a quel momento avevo apprezzato questa canzone senza dare troppo peso al messaggio che veicolavano quelle parole, ma, dopo aver sentito tutte quelle persone che la cantavano all'unisono, ho pensato che quel testo volesse dire qualcosa di più, e che forse toccava questioni che tutti sentiamo a noi vicine. Con spirito da scolaro diligente - quale non sono mai stato - mi son messo ad analizzarne le parole. È vero: alcuni punti sono davvero interessanti. A una prima lettura, quelli più degni di nota mi erano sembrati i passaggi relativi al rischio di diventare come anestetizzati rispetto alle cose del mondo, quelle magari più comuni, che spesso diamo così per scontate che non ci accorgiamo nemmeno di trascurarle. «Ma l'unico pericolo che sento veramente / è quello di non riuscire più a sentire niente (. . .) il battito di un cuore dentro al petto / la passione che fa crescere un progetto / l'appetito, la sete, l'evoluzione in atto / l'energia che si scatena in un contatto». Quest'ultima parte mi ha fatto pensare anche al film Centochiodi di Ermanno Olmi. Però, leggendo e rileggendo il testo della canzone, l'occhio in realtà mi cadeva sempre su un'altra frase, non a caso il ritornello: «lo lo so che non sono solo / anche quando sono solo / io lo so che non sono solo / e rido e piango e mi fondo con il cielo e con il fango». Quella della solitudine è una delle paure più sentite da ognuno di noi. Non è solo il timore di perdere chi più ci è vicino. Piuttosto, in generale, è il timore di essere soli al mondo. Rispetto a questa angoscia diffusa, la disabilità è un ottimo «monitor» sociale e antropologico. Infatti, una delle cose che impedisce un rapporto paritario tra le persone di sa bili e i normodotati è proprio !'immagine intimorita, diffidente che questi ultimi hanno della condizione di disabilità, quasi fosse sinonimo di solitudine irreversibile. Questa immagine si accompagna ad altre simili, come quella che associa disabilità a sofferenza, o ad assistenza. In qualche modo il rapporto "disabile - normale" riflette la paura diffusa della solitudine, restituendo cela in maniera più nitida. Insomma, la disabilità ci spaventa anche perché pensiamo che, semmai ci trovassimo in quella situazione, saremmo condannati a una vita isolata. È come se, temendo la solitudine, avessimo paura di chi ci sembra vivere appieno quella condizione di totale distacco. Ma c'è un altro messaggio che il testo ci trasmette: la solitudine è uno stato apparente, quasi un auto-convincimento. Mi sembra che Jovanotti ci inviti a considerarla come una condizione non-data, cioè in divenire e nelle nostre mani: siamo noi a poterne determinare tempi e caratteristiche. Una simile visione della solitudine comporta, però, anche la dismissione di associazioni di idee, come quelle di cui parlavamo sopra, che solo apparentemente sono nocive e discriminanti per gli altri, ma che in realtà limitano le nostre stesse vite. Per cui associamo con facilità la solitudine a determinate situazioni esistenziali (immobilità, dipendenza, deficit, o altre), mentre l'essere soli è una condizione di vita che dipende dal modo in cui percepiamo noi stessi e ciò che ci sta attorno.(da internet)

venerdì 12 giugno 2009


Le nuove solitudini
Ci si può sentire soli in un'epoca come la nostra, in cui la comunicazione sembra essere facilitata da tecnologie sempre più sofisticate? Nell'era di Internet, basta spingere il tasto di un computer per inviare in pochi secondi un'e-mail da Roma a Tokyo, da Londra a Mosca, da Parigi a New York. Un dito della mano è sufficiente per metterci in contatto con il resto del mondo. Eppure, nonostante questo, ci sono molti giovani soli, che non riescono a stabilire un reale rapporto con gli altri.Agli inizi del terzo millennio, stiamo assistendo alla nascita di tante "nuove solitudini", completamente diverse da quelle che vivevano le precedenti generazioni. Sono forme di disagio tipiche del nostro tempo, frutto delle contraddizioni di un'epoca in cui i rapporti umani diventano sempre più difficili da mantenere.La prima grande solitudine è figlia del computer. Questo straordinario strumento di lavoro può servire per fare cose meravigliose, ma può anche contribuire a creare nuove "celle di isolamento". E' come un bisturi. Nelle mani di un grande chirurgo può salvare migliaia di vite umane, ma se finisce nelle mani di un pazzo può fare del male ed uccidere.Tanti giovani trascorrono ore davanti allo schermo di un computer, navigando tra un sito e l'altro o parlando attraverso le "chat", le "mailing list" e i "newsgroup" di Internet.Apparentemente, sembrano comunicare. Ma bisognerebbe chiedersi: qual è la qualità di questo tipo di comunicazione? Spesso le persone che intervengono nei dialoghi virtuali delle "chat" non sono sincere. Ci sono, ad esempio, uomini che fingono di essere donne e viceversa. Alcuni hanno anche cattive intenzioni ed approfittano dell'ingenuità dei ragazzi.Il risultato è una comunicazione falsa e mascherata, che rischia di favorire l'isolamento e l'incapacità di sostenere un autentico rapporto con gli altri.Un'altra "nuova solitudine" è quella del gioco. Oggi, purtroppo, non ci si diverte più come una volta. Nelle grandi metropoli, diventa sempre più rara la dimensione del cortile e della piazza, dove un tempo si praticavano i giochi all'aperto. Erano un'occasione per dialogare, per confrontarsi, per vivere una parentesi di svago rispettando delle regole ben precise. Quindi, erano anche dei momenti fortemente educativi.Si sta diffondendo, invece, la moda dei videogiochi, che rappresentano un'ulteriore occasione per essere soli. Non ci si confronta più con gli altri, ma semplicemente con i suoni, i rumori, i colori di un avversario virtuale, che appare sullo schermo di un computer.Tempo fa, un catalogo di videogames ha ospitato una pubblicità molto triste, che diceva: "Butta il secchiello, abbiamo un gioco più bello". Era un invito ad abbandonare i tradizionali giochi del mare, con la paletta e il secchiello, per dedicarsi a quelli elettronici.E' la morte della creatività. Seguendo questo slogan, i ragazzi dovrebbero abbandonare i castelli di sabbia per restare incollati di fronte alle lotte sanguinarie dei videogames, dove i personaggi buoni si muovono con la stessa violenza dei cattivi.Anche la televisione può essere fonte di "nuove solitudini". Tanti ragazzi, infatti, hanno il televisore nella loro cameretta e subiscono un vero e proprio bombardamento di messaggi. Dalle trasmissioni che esaltano il mito dell'apparenza, dicendo che la chirurgia estetica è la fonte della vera felicità, ai telegiornali che non fanno più informazione, ma prediligono servizi su fotomodelle e attricette. Senza contare la falsità dei cosiddetti "reality show" e lo squallore di maghi, cartomanti e venditori di amuleti, pronti ad avventarsi come avvoltoi su chi attraversa momenti di difficoltà e sofferenza.Quando si è soli, purtroppo, è facile essere indottrinati e strumentalizzati da programmi diseducativi. Si diventa prede di emittenti televisive senza scrupoli, il cui unico obiettivo è aumentare l'audience e sparare spot pubblicitari a ripetizione.Un'altra solitudine significativa è quella della discoteca. Molti ragazzi trascorrono il fine settimana nei locali da ballo, illudendosi di trovare un contatto con gli altri. Ma poi, la musica è talmente assordante da ostacolare qualunque tipo di dialogo.Di conseguenza, le discoteche si trasformano in un insieme di giovani soli che ballano. Ognuno è rinchiuso nel proprio guscio di mutismo e di incomunicabilità, mentre le luci psichedeliche impediscono di guardarsi realmente negli occhi.Ma la solitudine più preoccupante è quella generata dal dilagante ateismo. Con la scusa del cosiddetto "Stato laico" si tende a creare sempre di più una società senza Dio, dominata dal qualunquismo e dal relativismo morale.In Italia, ultimamente, è scoppiata una polemica per la presenza del crocifisso sui muri delle scuole. In Francia, addirittura, è stata avanzata una proposta di legge per vietare l'uso di simboli religiosi "troppo visibili".Il pericolo, per i giovani, è quello di ritrovarsi soli in un mondo sempre più materialista, privato di quel rapporto di filiazione divina che può rappresentare "una marcia in più" nei momenti di difficoltà. Chi sa di essere figlio di Dio non può mai sentirsi abbandonato di fronte ai propri problemi.Oggi, dunque, sono tante le occasioni di solitudine che rischiano di oscurare l'animo dei ragazzi. Che cosa si può fare per cambiare rotta e combattere questo fenomeno?Prima di tutto, è necessario educare i giovani a sviluppare un maggiore senso critico nei confronti dei mezzi di comunicazione. Bisogna abituare i ragazzi a non subire in modo passivo i messaggi che ricevono dalla televisione.Poi, è necessario recuperare la tradizione dell'autentico stare insieme nei momenti di divertimento. Basta con le discoteche che impediscono la comunicazione! I gestori dei locali dovrebbero creare ambienti più favorevoli al dialogo. Potrebbero limitare il volume della musica e proporre giochi e balli di gruppo, che aiutino maggiormente a socializzare.Infine, si dovrebbe evitare la presenza ossessiva di fronte allo schermo del computer.Per sfuggire a questo mondo ingannevole di rapporti virtuali, nasce spontaneo un imperativo: ritrovare i volti. Bisogna uscire di casa ed imparare ad incontrare gli altri. Gli altri veri. Non quelli falsi, mascherati, che si nascondono dietro la barriera di uno schermo.La vera soluzione al problema della solitudine non sta in una notte trascorsa a "chattare" su Internet o in un sabato sera perduto nel rumore di un'assordante discoteca. Non sta neppure nei ripetitivi combattimenti dei videogiochi o nell'adorazione di qualche "velina" che ci sorride in modo forzato dal televisore. Sta nella porta di casa che si apre e che diventa, finalmente, un ponte verso la vita.Ci sono tantissimi ambienti pronti ad accogliere i giovani con un sorriso vero, umano, non virtuale. Ad esempio, quelli del volontariato. Tanti ragazzi, invece di diventare schiavi delle "nuove solitudini", hanno voluto dare un senso alla loro esistenza, offrendo alcune ore della propria giornata all'aiuto di poveri, anziani, malati, emarginati.C'è anche chi ha rinunciato alla solita vacanza al mare per fare un'esperienza diversa, più costruttiva, al fianco di missionari in Africa o in America Latina. Sarà tornato un po' meno abbronzato, ma tanto "ricco" e cresciuto nell'anima.Insomma, la solitudine non è un male incurabile. La migliore medicina bisogna cercarla nel nostro cuore, aiutandolo ad essere un po' meno egoista e conformista, in un mondo che ci tende la mano ed ha un infinito bisogno d'amore.

Carlo Climati

Articolo pubblicato sulla rivista "Milizia Mariana" (2004)

lunedì 1 giugno 2009

'Questa è una crisi dei diritti umani!'



Intervento del portavoce di Amnesty Italia.
Nel 2008, anno in cui è stato celebrato il 60mo anniversario della
Dichiarazione universale dei diritti umani, i diritti umani sono stati
messi in secondo piano, se non addirittura traditi. È difficile trovare più
di una manciata di eventi positivi: l'arresto di Radovan Karadzic e la sua consegna al Tribunale per la ex Jugoslavia; la quasi scomparsa delle esecuzioni capitali in Africa; le battaglie giudiziarie per il possesso della terra vinte da comunità indigene dell'America del Sud. Ma questo anno è iniziato con la crisi in Kenya, con oltre un migliaio di morti nelle violenze seguite alle contestate elezioni politiche e si è concluso con un tributo di sangue di civili palestinesi, uccisi a Gaza nel corso dell'operazione "Piombo fuso". Per la prima volta dopo quasi 10 anni la guerra è tornata in Europa con lo scontro tra Russia e Georgia. Conflitti dimenticati, in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia e nello Sri Lanka, hanno continuato a fare migliaia di vittime.

Rimpatri e torture. Il Rapporto Annuale 2009 di Amnesty International propone un quadro mondiale decisamente preoccupante e i dati che emergono sull'Italia sono altrettanto inquietanti. L'Italia è ormai precipitata in una spirale di disprezzo dei diritti umani, con un accanimento discriminatorio verso le minoranze: dagli sgomberi delle comunità rom e sinti, a norme sull'immigrazione palesemente discriminatorie, dal rinvio forzato in Libia di migranti giunti sulle nostre coste, ai discutibili accordi di cooperazione con il paese africano, dal rimpatriato di due cittadini tunisini in spregio delle decisioni della Corte europea dei diritti umani, alla mancanza di parole di condanna da parte degli ultimi tre governi sul caso della rendition di Abu Omar. In Italia, inoltre, la tortura non è ancora reato e per chi ne cade vittima le leggi non hanno parole da usare per condannare in modo adeguato i responsabili, come nel caso Bolzaneto.

Insicurezza e repressione. Negli Stati Uniti l'ultimo anno della presidenza Bush è trascorso in continuità con i precedenti, con la rivendicazione di una politica di sicurezza basata sulle violazioni dei diritti umani. La nuova amministrazione ha intrapreso un cammino diverso, anche se il percorso da seguire appare ancora incerto e ricco di ostacoli. Nella seconda parte dell'anno sullo scenario mondiale si è affacciato un nuovo tema: la crisi economica. I diritti umani, già sacrificati in nome della "guerra al terrore", sono stati nuovamente messi in secondo piano da questa nuova emergenza. La recessione, oltre a peggiorare le condizioni di vita, ha alimentato l'instabilità politica e la violenza di massa ed è stata usata per giustificare una dura repressione del dissenso: dall'Iran allo Zimbabwe, dal Guatemala alla Siria, dalla Turchia alla Cina. Il clima di insicurezza ha reso ancora più vulnerabili paesi che già vivevano gravi difficoltà, dall'Afghanistan, dove il clima di instabilità ha pregiudicato l'accesso al cibo, alle cure mediche e all'istruzione, al Pakistan, precipitato in una spirale di violenza. Dobbiamo essere consapevoli che la povertà non è un accidente inevitabile ma il frutto di decisioni e politiche reversibili. La crisi che stiamo vivendo non è solo finanziaria, è una crisi dei diritti umani ed è proprio dai diritti umani che dobbiamo ripartire, nei diritti umani dobbiamo cercare la soluzione. Per queste ragioni abbiamo lanciato la nuova campagna "Io pretendo dignità", per ridare dignità ai prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita e diventare loro stessi attori di questo cambiamento.


I dati principali del Rapporto Annuale 2009

Libertà di espressione
Limitazioni alla libertà di espressione sono state imposte in almeno 81 paesi.

Pena di morte
Almeno 2390 prigionieri sono stati messi a morte in 25 paesi. Il 78% delle esecuzioni ha avuto luogo nei paesi del G20.

Esecuzioni extragiudiziali/omicidi illegali
Esecuzioni extragiudiziali od omicidi illegali sono stati commessi in oltre 50 paesi. Il 47% di questi crimini è stato riscontrato nei paesi del G20.

Torture e altri maltrattamenti
Torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso degli interrogatori, in circa 80 paesi. Il 79% delle torture e dei maltrattamenti si è registrato nei paesi del G20.

Processi iniqui
Processi iniqui sono stati celebrati in circa 50 paesi. Il 47% di essi si è svolto nei paesi del G20.

Detenzioni illegali
Prigionieri sono stati sottoposti a periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo, in circa 90 paesi. Il 74% di queste detenzioni ha avuto luogo nei paesi del G20.

Rinvii forzati di richiedenti asilo
Persone che chiedevano asilo politico sono state respinte da almeno 27 paesi verso stati in cui sono andate incontro ad arresti, torture e morte.

Prigionieri di coscienza
Prigionieri di coscienza sono finiti in carcere in almeno 50 paesi.


Sgomberi forzati
Sgomberi forzati sono stati eseguiti in almeno 24 paesi.

Questi dati si riferiscono al periodo gennaio - dicembre 2008.


Tratto da: http://www.amnesty.it/)

giovedì 21 maggio 2009


E’ più quello che si riceve che quello che si dona!

Ecco la testimonianza di una ragazza che ha trascorso una settimana, a Gornja Bistra, in un ospedale per bambini affetti da malformazioni e problemi di diversa natura.

Ce li ho ancora dentro, quei bambini...Ci sono momenti, sensazioni che non dimenticherò mai, che ancora vengono a visitarmi nei sogni, proprio come quando sono tornata dal Brasile....Ricordo, perchè voglio ricordare con tutta me stessa, quando l'ultimo giorno sono andata a salutare iljana, e lei mi ha sorriso come sempre coi suoi dentini radi, il suo visetto dolcissimo, il suo occhietto destro che vaga in qua e in là; era stesa nel suo lettino, incapace di muoversi, eppure mi pareva che stesse saltando di felicità quando mi ha vista. L'accarezzavo e pensavo "non voglio MAI dimenticarmi di tutto questo, non voglio farmi travolgere dalla vita quotidiana quando tornerò a casa, non voglio che il suo viso si sbiadisca dentro di me, perchè è vero e vivo, è la Vita dentro questo corpicino immobile"...Ri-cordo, ri-cordare significa riportare al cuore... è mio dovere dolcissimo ricordare sempre a me stessa quello che ho vissuto, e dare agli altri quel non so che di Gornja che ti accende qualcosa dentro e ti fa dire: "parto anche io".Non mi interessa fare proseliti, ma non posso stare zitta, perchè anche chi è innamorato non riesce a tacere e vorrebbe gridarlo a tutto il mondo: così io vorrei gridare che a Gornja ho conosciuto l'Amore, e ho capito cosa significa vivere la Vita, anche se dentro un corpicino deforme e confinati in quattro mura, per quanto solide, antiche, ora colorate, ma pur sempre quattro limitate mura.Ri-cordo, ancora.... che un giorno stavo nella cameretta di josippone, e giovi accarezzava stanko... ad un certo punto smette di accarezzarlo, mi guarda e mi dice: "ma sai che lui è Gesù?" mi sono guardata attorno, e tutto mi sembrava un'immensa dichiarazione d'Amore... e la commozione è ancora più forte, quando capisci che Qualcuno ti ha voluta lì, per dare e ricevere, in questo scambio di emozioni tra esseri umani che è la cosa più bella del mondo.Quanto sono diventata sdolcinata.... si dice così in genere di chi parla troppo dell'Amore giusto? Perchè in effetti, dopo un po' che ne parliamo, dobbiamo far basta.... sennò arrossiamo e ci imbarazziamo.Sì è vero, l'Amore è imbarazzante perchè non ha filtri nè barriere, ma è gratuito e puro: come Ivana che il primo giorno, appena siamo entrati con tutte le nostre paure e insicurezze, senza averla mai vista prima è corsa da letizia con le sue palline gialle in mano e le ha chiesto di farle i massaggi sulla schiena... o come nina, che ci ha accolti con la sua solita chiacchiera, e ha voluto toccare a tutti i capelli, e prendendomi per la testa dopo appena 5 minuti che ci scambiavo qualche parola, mi ha detto: "piiiiccola!" stringendomi forte, lei che ha la mia età e ha il corpo di una bimba.Sì, l'amore è imbarazzante come lo sono i bambini, semplici e diretti: eppure ti entra dentro e come la freccia meglio scoccata va dritta al centro della tua anima, e da lì non si schioda.Sono felice di aver vissuto tutto questo.... Di essermi presa il vomito, i graffi, le tirate di capelli ma anche i bacetti e le risate del mio Dejan: mi porto tutto a casa, tutto ancora aggrovigliato ma pian piano sempre più chiaro e semplice dentro di me, come semplici sono i bambini di gornja, come semplice è l'Amore, e, in fondo, la Vita.
GRAZIE a tutti di ogni cosa...!
Giulia

venerdì 15 maggio 2009

A volte non servono le parole....

Vorrei farvi partecipi della testimonianza di una mia amica....lascio spazio a "lei" perchè non ci sono molte parole da aggiungere..

"Avete mai visto una persona sordomuta cantare?
Io sì, ed è qualcosa di meraviglioso.Accade spesso nella mia parrocchia, quando la domenica un gruppo di persone con questo problema partecipa alla messa grazie ad una ragazza che traduce le parole in gesti, in un linguaggio senza lingua nè parole.Il momento più bello e commovente però, è proprio quando facciamo un canto: mi sono sempre immaginata che loro ci vedano come pesci in un acquario che muovono la bocca e si agitano in modo strano; ho sempre pensato che vivessero questo momento con tristezza, col dolore di non poter partecipare... E invece mi sbagliavo....Giusto oggi il nostro parroco ci ha invitati a cantare con forza l'alleluja, per poter gridare a tutti la gioia di Gesù Risorto, e io mi sono detta: ma loro, come potranno comunicare questa gioia? Come potranno mai unirsi al nostro canto?Ed ecco accadere un piccolo miracolo: hanno cominciato a mimare le parole del canto, le loro mani al posto della loro bocca, e con un tale trasporto negli occhi, e con una tale voglia di esprimere ciò che provavano dentro, che mi sembrava di sentire le loro voci unirsi alle nostre, che sono così scontate e stanche alle volte, così prive di anima. Loro invece cantavano, e tutto il loro corpo esprimeva questo canto d'amore e gioia per il Dio che è risorto...Ecco, sì, è questo il miracolo della fede: anche un muto può cantare, anche un sordo può sentire ciò che Cristo è venuto a dare a tutti noi, un Amore che non conosce limiti.Riuscirò mai a cantare come stamattina cantavano loro?"
Giulia

giovedì 29 gennaio 2009

Quando finisce la notte
Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno."Forse da quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?"."No", disse il rabbino."Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?"."No", ripeté il rabbino."Ma quand'è, allora?", domandarono gli allievi.Il rabbino rispose: "E' quando guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel punto è ancora notte nel tuo cuore".

"Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli" (Martin Luther King).

mercoledì 28 gennaio 2009


Father forgets


Ascolta, figlio: ti dico questo mentre stai dormendo con la manina sotto la guancia e i capelli biondi appiccicati alla fronte. Mi sono introdotto nella tua camera da solo: pochi minuti fa, quando mi sono seduto a leggere in biblioteca, un'ondata di rimorso mi si è abbattuta addosso, e pieno di senso di colpa mi avvicino al tuo letto.E stavo pensando a queste cose: ti ho messo in croce, ti ho rimproverato mentre ti vestivi per andare a scuola perché invece di lavarti ti eri solo passato un asciugamano sulla faccia, perché non ti sei pulito le scarpe. Ti ho rimproverato aspramente quando hai buttato la roba sul pavimento.A colazione, anche lì ti ho trovato in difetto: hai fatto cadere cose sulla tovaglia, hai ingurgitato cibo come un affamato, hai messo i gomiti sul tavolo. Hai spalmato troppo burro sul pane e, quando hai cominciato a giocare e io sono uscito per andare a prendere il treno, ti sei girato, hai fatto ciao ciao con la manina e hai gridato: "Ciao, papino!" e io hoaggrottato le sopracciglia e ho risposto: "Su diritto con la schiena!".E tutto è ricominciato da capo nel tardo pomeriggio, perché quando sono arrivato eri in ginocchio sul pavimento a giocare e si vedevano le calze bucate. Ti ho umiliato davanti agli amici, spedendoti a casa davanti a me.Le calze costano, e se le dovessi comperare tu, le tratteresti con più cura.Ti ricordi più tardi come sei entrato timidamente nel salotto dove leggevo, con uno sguardo che parlava dell'offesa subita? Quando ho alzato gli occhi dal giornale, impaziente per l'interruzione, sei rimasto esitante sulla porta. "Che vuoi?", ti ho aggredito brusco. Tu non hai detto niente, sei corso verso di me e mi hai buttato le braccia al collo e mi hai baciato e le tue braccine mi hanno stretto con l'affetto che Dio ti ha messo nel cuore e che, anche se non raccolto, non appassisce mai. Poi te ne sei andato sgambettando giù dalle scale.Be', figlio, è stato subito dopo che mi è scivolato di mano il giornale e mi ha preso un'angoscia terribile. Cosa mi sta succedendo? Mi sto abituando a trovare colpe, a sgridare; è questa la ricompensa per il fatto che sei un bambino, non un adulto? Nient'altro per stanotte, figliolo. Solo che son venuto qui vicino al tuo letto e mi sono inginocchiato, pieno di vergogna.E' una misera riparazione, lo so che non capiresti queste cose se te le dicessi quando sei sveglio. Ma domani sarò per te un vero papà. Ti sarò compagno, starò male quando tu starai male e riderò quando tu riderai, mi morderò la lingua quando mi saliranno alle labbra parole impazienti.Continuerò a ripetermi, come una formula di rito: "E' ancora un bambino, un ragazzino!".Ho proprio paura di averti sempre trattato come un uomo. E invece come ti vedo adesso, figlio, tutto appallottolato nel tuo lettino, mi fa capire che sei ancora un bambino. Ieri eri dalla tua mamma, con la testa sulla spalla. Ti ho sempre chiesto troppo, troppo.
(Bruno Ferrero)


Vogliamo sempre troppo … dagli altri

lunedì 26 gennaio 2009

Il silenzio
Un uomo si recò da un monaco di clausura.Gli chiese: "Che cosa impari mai dalla tua vita di silenzio?".Il monaco stava attingendo acqua da un pozzo e disse al suo visitatore:"Guarda giù nel pozzo! Che cosa vedi?".L'uomo guardò nel pozzo. "Non vedo niente".Dopo un po' di tempo, in cui rimase perfettamente immobile, il monaco disse al visitatore: "Guarda ora! Che cosa vedi nel pozzo?".L'uomo ubbidì e rispose: "Ora vedo me stesso: mi specchio nell'acqua".Il monaco disse: "Vedi, quando io immergo il secchio, l'acqua è agitata.Ora invece l'acqua è tranquilla. E questa l'esperienza del silenzio: l'uomo vede se stesso!".
(Bruno Ferrero)

"Quando non ce la faccio più, vado a sedermi vicino a mia nonna mentre lavora a maglia... Mia nonna profuma di cipria e ha un respiro lento lento. Di tanto in tanto alza gli occhi e sorride un poco, di solito però si limita a lavorare e respirare... Beh, mi fa sentire cullata...". ( Amelia, 14 anni )

Oggi scegliti un angolo tranquillo e lasciati cullare dal silenzio.

Improvvisamente un giorno ci si rende conto che si fa fatica a vivere, che si fa fatica a respirare, che tutti quei piccoli gesti, che sono il vivere quotidiano, diventano un “qualcosa” che ci richiede uno sforzo immenso, un nuovo compagno, che sarà purtroppo inseparabile, entrerà nella nostra vita: IL DOLORE
Ma non è un dolore fisico, esteriormente siamo sani come pesci, nessuna ferita sanguina, nessuna analisi rivelerà alcuna malattia, nessun analgesico servirà….semplicemente il soffio lieve dell’anima, normalmente silenzioso…sta ansimando, la nostra anima ci sta dicendo “non ce la faccio più”….aiutami…
La fatica di alzarsi, la fatica di lavarsi, vestirsi e pensare devo farlo per chi, per cosa? Aprire gli occhi la mattina, un altro giorno da fare arrivare a sera, ma come? Come posso farcela se questo peso che sento nel cuore mi impedisce di respirare, se questo dolore no non è dolore, se questa straziante morsa mi attanaglia, se questo mostro si è rubato la mia gioia, ha rubato il rumore della mia risata, e in cambio mi ha reso silenzio, mi ha reso pensieri che sono martellanti come ossessioni, e non vanno via. Altri compagni di viaggio, che hanno preso posto, con violenza e forza, nel treno traballante della nostra vita ma noi non gli avevamo dato il permesso.
E ci si chiude nella solitudine, non ci interessa chi ci sta intorno, si entra a far parte dei fantasmi che vivono nel buio di una stanza, dobbiamo concentrarci su quel dolore, sentirlo tutto. A volte una ribellione estrema: ci si veste con la sensazione di scalare montagne, si riesce a trovare la forza di uscire, siamo quasi fieri di questo piccolo immenso gesto. Finalmente siamo in strada, ma ecco un nuovo compagno, il panico si impossessa di noi "un altro passo e cado", no non si cade, ma rimaniamo fermi immobili, sconfitti, non ce l’abbiamo fatta, dobbiamo tornare in quel buio, sentiamo che solo lì siamo al sicuro, nel buio forse i nostri “compagni” non si accorgeranno di noi.
E si piange, le lacrime, quanto piangere, tutte le lacrime del mondo "ma hai tutto, non ti manca niente ma cosa hai?” Ho dentro di me tutto il male che un essere umano può sentire” ma dove ti fa male? Il dottore dice non hai niente.” Ho l’anima ammalata ma nessuno mi crederà.
Qualcuno può crederci, qualcuno ci può aiutare, non ostiniamoci a volercela fare da soli dicendo passerà, mettiamo da parte gli stupidi preconcetti, che è una sconfitta, una vergogna, è la nostra prima vittoria possiamo sconfiggere quel “mostro”, solo ammettere che abbiamo bisogno di aiuto. E’ un passo importantissimo, rivolgiamoci a chi può capire di cosa stiamo parlando, il nostro dolore non è unico, nessuno ha inventato una nuova specie di orribili segreti, o terribili perdite, non siamo delle mosche bianche, quando ci fa male un dente si va dal dentista, perché quando la nostra anima si ammala non gli diamo la possibilità di guarire?
E’ iniziare un cammino verso la luce che sta in fondo a quel tunnel dove ci troviamo, inizialmente doloroso, ma stiamo già soffrendo immensamente, urliamo forte a quei compagni di viaggio che non ci siamo scelti, che non li vogliamo, urliamo a chi ci prende in giro perché andiamo dal medico dei “matti” IO VOGLIO VIVERE, VOGLIO INDIETRO LE MIE RISATE, IL SOLE voglio che la mia anima torni a respirare lievemente, a volare come una farfalla. Abbiamo amato troppo, la vita ci ha ferito, il dolore di una perdita ma non siamo colpevoli, siamo solo immensamente fragili, sensibili.
Nessuno di noi deve accettare di arrivare a punirsi fino a farsi del male, possiamo fermarci un istante prima, basta un solo istante, prima del momento in cui il nostro dolore interiore sarà insopportabile, è più triste vivere nel buio che dire aiutatemi, le persone care, gli amici ce la mettono tutta, ma serve di più.
Lasciamoci aiutare da chi può farlo, ci vorrà tempo, si cadrà ancora ma stiamo lottando per noi stessi, per la nostra serenità. Una mattina ci sveglieremo e penseremo che si, ce l’abbiamo fatta, il nostro piccolo treno sta correndo di nuovo in un prato luminoso, e sul quel treno ci sta la nostra anima che nuovamente ci sorride e vola.

DEPRESSIONE ED ADOLESCENTI
Depressione: un problema poco riconosciuto tra i giovani
Le persone tendono generalmente a vedere l'adolescenza come un periodo di confusione, ricco di cambiamenti d'umore e d'intensi eventi emotivi.
In effetti, gli adolescenti, avvicinandosi all'età adulta, affrontano diverse nuove sfide e pressioni sociali e alcuni vivono con difficoltà questa fase di transizione.
Molti, compresi gli esperti, erano soliti una volta, minimizzare questi cambiamenti d'umore e del comportamento, giudicandoli manifestazioni normali dell'adolescenza, "una fase" da superare per crescere.
C'è tuttavia un numero sempre crescente di prove che dimostrano che tali problemi non sono sempre un aspetto normale del processo di crescita.
Per molti adolescenti, sintomi come la mancanza di gioia, la confusione, l'isolamento, il ritenersi incompreso e manifestare un atteggiamento ribelle possono essere indice di un disturbo dell'umore.
Gli studiosi affermano che gli adolescenti possono ammalarsi di depressione quanto gli adulti.
A tutte le età, la depressione è una condizione che dovrebbe essere presa sul serio, perché si accompagna a gran sofferenza e può interferire significativamente con la vita d'ogni giorno, con il funzionamento sociale e il benessere generale.
Nei casi più gravi, la depressione può portare al suicidio e purtroppo, negli ultimi 30 anni, la percentuale di suicidi tra i giovani è progressivamente aumentata, senza contare le morti dovute a comportamenti a rischio con valenza suicida.
Per fortuna la depressione adolescenziale risponde efficacemente agli interventi terapeutici: questi però non sono sempre messi in atto perché la malattia spesso non è riconosciuta.
Genitori, insegnanti, medici e chiunque sia vicino ai giovani dovrebbe fare uno sforzo per riconoscere la depressione ed intervenire quando necessario.
Se credi di conoscere un giovane che stia soffrendo di depressione, sei nella condizione di poterlo aiutare. E' raro, infatti, che un adolescente riconosca d'essere depresso, perché i giovani possono mostrarsi riluttanti a comunicare ad altri le loro sensazioni di tristezza e le loro emozioni.
Questo testo è stato pensato per aiutarti a riconoscere i molti segni e sintomi della depressione giovanile, soprattutto quelli che possono essere "nascosti" è difficilmente identificabili. Inoltre, quest'articolo vuole offrire incoraggiamento, visto che la depressione è curabile e che poco dopo l'inizio della cura, il giovane depresso potrà essere in grado di vedere la vita in una luce di speranza.

Cos'è la depressione
Per definire la depressione si potrebbe affermare che tutti noi, adulti e giovani, proviamo sentimenti di tristezza in determinati momenti della nostra vita n relazione più o meno diretta con certi eventi. Sono normali situazioni della vita e si risolvono da sole, senza bisogno di cure. Al contrario, una persona sofferente di depressione potrà raramente "cavarsela da solo". Quando usiamo il termine depressione, intendiamo una malattia con sintomi specifici di durata e severità considerevoli.
Una depressione può seriamente minare la capacità di un individuo di affrontare la vita e, come vedremo, può addirittura rivelarsi minacciosa per la vita stessa. È importante rassicurare le persone depresse convincendole che non stanno "impazzendo" e che non c'è nulla di cui vergognarsi. La depressione è una malattia normale e non c' è motivo di provare imbarazzo o vergogna per avere una depressione più di quanto non ve né possa essere per soffrire d'influenza.

La depressione é una malattia frequente
La depressione colpisce persone d'ogni età, sesso, nazionalità, ceto e stile di vita. Chi ha già avuto un episodio di depressione maggiore presenterà in media cinque altri episodi di depressione nel corso della vita, anche se questi dati possono variare molto da persona a persona. Molti giovani presentano il primo episodio di depressione proprio durante l'adolescenza, ma pochi la riconoscono.
Studi recenti indicano che negli ultimi decenni c'è stata un'impennata dei casi di depressione che iniziano durante l'adolescenza, anche se non n'è chiaro il motivo. Il mondo in cui viviamo diventa sempre più complesso e molti giovani si sentono impreparati ad affrontare una serie di scelte e tensioni. Come mai, però, alcuni adolescenti diventano depressi, mentre altri sembrano gestire la transizione verso la vita adulta senza problemi? Non ci sono risposte semplici, visto che la depressione è di solito dovuta ad una combinazione di fattori.

Come riconoscere la depressione
I sintomi della depressione adolescenziale possono essere simili a quelli provati dagli adulti depressi, benché alcuni sintomi compaiono con maggior probabilità nei giovani. Negli adolescenti e negli adulti, i sintomi della malattia possono essere nascosti o mascherati da altre condizioni che sembrano non aver niente a che fare con il "sentirsi giù". Questo può rendere la depressione ancor più difficile da riconoscere.
In genere, la depressione altera l'umore delle persone, il pensiero, le funzioni cognitive, il comportamento, ma più spesso provoca un insieme di cambiamenti. Un giovane depresso può essere visibilmente triste, malinconico, preoccupato, anche se l'irritabilità è un altro sintomo comune. Si perde l'interesse o piacere per quelle attività, cose o persone una volta ritenute gradevoli; è frequente il ritiro sociale. La bassa autostima è comune, così come pensieri negativi per se stessi e sul futuro. Un giovane colpito da depressione può sentirsi confuso ed avere difficoltà nel prendere decisioni. Possono mancare l'energia e la motivazione per i compiti quotidiani, spesso accompagnato da un calo nelle prestazioni scolastiche o lavorative. L'ansia, cioè la sensazione che qualcosa di terribile ed ignoto stia per succedere, frequentemente accompagna la depressione nel giovane così come nell'adulto. Si possono anche sviluppare fobie, paure associate e specifiche situazioni come l'andare a scuola o al lavoro, ad esempio. Man mano che la depressione si fa più acuta, si hanno sentimenti di svalutazione e disperazione. Soggetti depressi gravi possono iniziare a pensare di farsi del male o perfino suicidarsi. Come abbiamo già detto, questa situazione può essere particolarmente pericolosa in un giovane.
Quelli che abbiamo appena citato sono alcuni dei "classici" sintomi della depressione.
Ma la depressione nell'adolescenza può spesso manifestarsi con sintomi non tipici o mascherati. Ad esempio, l'abuso d'alcool e droghe spesso va di pari passo con la depressione giovanile e ne peggiora l'esito. Si possono presentare problemi di concentrazione, così come irrequietezza ed iperattività. Gli adolescenti depressi possono manifestare atteggiamenti antisociali come ostilità, aggressività e comportamenti spericolati oltre a sfidare le regole e l'autorità.
Gli esperti indicano che fino al 20% di tutti gli adolescenti con depressione presentano un particolare tipo di patologia dell'umore noto come disturbo bipolare, caratterizzato da umore ampiamente altalenante sia sopra sia sotto la normalità. Una persona che soffre di questo disturbo può sembrare triste ed abbattuta in un certo periodo (depressione) e in un altro periodo invece mostrarsi eccitata ed addirittura esaltata (mania).
La depressione può anche presentarsi in forma "mascherata" da problemi fisici o da altre condizioni in apparenza completamente non attinenti. Tra questi vanno citati i disordini alimentari come l'anoressia nervosa (grave rifiuto del cibo) e/o bulimia (abbuffate seguite talvolta da vomito procurato). Alcuni soggetti depressi possono sentirsi molto affaticati e desiderare di dormire continuamente, pur senza ristoro. Altri soffrono d'insonnia o di dolori cronici; le cefalee ed i disturbi gastro-intestinali sono pure comuni.

Il rischio del suicidio
E' terribile, ma la tragica verità è che il suicidio è diventata la seconda causa di morte tra i giovani tra i 15 ed i 19 anni. La prima causa di morte è rappresentata dagli incidenti, soprattutto automobilistici e anche tra questi una certa parte sono attribuibili, in forma più o meno diretta, a comportamenti spericolati (per esempio guida spericolata e troppo veloce, guida dopo abuso di sostanze) che spesso esprimono un disagio psichico. La percentuale di suicidio tra i giovani è triplicata negli ultimi 30 anni. Alcuni sondaggi mostrano che circa il 40% degli studenti di scuole secondarie hanno preso in considerazione il suicidio in qualche occasione, più o meno seriamente. Se un giovane (o chiunque tu conosci) ti confida di avere avuto idee di morte o fantasie suicide, la cosa più importante che puoi fare è prenderla sul serio. Vi sono evidenti prove che chiunque parli di suicidio lo stia pensando veramente.
Gli esperti rilevano che la maggioranza dei giovani che tentano di suicidarsi ne hanno parlato in precedenza. Cerca aiuto immediatamente. Un medico o uno psichiatra sono le persone cui rivolgersi. Per ragioni non completamente chiare, certi adolescenti sono più vulnerabili di altri. Occorre porre attenzione ad alcuni segni specifici come le modificazioni marcate della personalità o del comportamento, disturbi del sonno e dell'alimentazione, gravi cadute nella resa scolastica o lavorativa. Molti giovani a rischio prendono la loro tragica decisione subito dopo una delusione come la fine di una relazione, un fallimento scolastico o sociale, un litigio con i genitori o uno scontro con un'autorità. Il ricorso all'alcool è riscontrato in circa la metà di tutte le vittime di suicidio giovanile.

Come riconoscere le situazioni a rischio?
Quali sono i giovani maggiormente a rischio?Non è facile dirlo. Innanzi tutto più ragazze che ragazzi soffrono di depressione e tentano il suicidio. Tuttavia tra i giovani che tentano il suicidio, i maschi portano a termine il tentativo più delle ragazze.
Gli esperti credono di aver individuato tre gruppi d'adolescenti particolarmente sensibili al problema del suicidio.
Il primo di questi gruppi è formato da soggetti che presentano i sintomi "classici" della depressione, quali tristezza e perdita d'ogni speranza. Si tratta di ragazze soprattutto, ma certamente non solo.
Il secondo gruppo è composto da perfezionisti che s'impongono livelli di riuscita molto alti. Questi adolescenti, per lo più maschi, sono spesso ansiosi, isolati e socialmente ritirati.
Il terzo gruppo é formato principalmente da maschi che esprimono la loro depressione con comportamenti aggressivi come l'uso di droghe, sfida con l'autorità ed atteggiamenti rischiosi.
La depressione in questo particolare gruppo può essere maggiormente difficile da individuare, dal momento che questi giovani tendono a negare qualsiasi sentimento di depressione e a rifiutare una proposta d'aiuto. E' una situazione assai pericolosa, perché questi sono i giovani con maggiori probabilità di portare a termine i tentativi di suicidio.

Di seguito sono elencati alcuni comportamenti osservabili, che sono più frequentemente associati ad un rischio di suicidio nei giovani:
- Parlare di morte, di suicidio o farsi del male
- Presenza di panico e d'ansia cronica
- Insonnia costante
- Cambiamenti nelle abitudini di sonno e/o alimentari
- Recenti e ripetuti fallimenti scolastici o lavorativi.
- Cessione d'oggetti personali particolarmente cari

Come mai ci si ammala di depressione?
Non vi sono risposte chiare del perché certi adolescenti diventano depressi mentre altri no. Così come per qualunque malattia alcune persone ne sono maggiormente vulnerabili. Inoltre, la depressione ha molte possibili cause e spesso deriva dalla combinazione di fattori. Diverse pressioni quotidiane possono contribuire fortemente alla depressione giovanile. Esperienze di fallimento, discriminazione o esclusione da parte dei pari, qualunque tipo d'abuso, malattie fisiche e l'eccessiva attesa di successo possono tutte compromettere l'equilibrio emotivo e lo stato mentale dei giovani.
Problemi familiari che compromettono l'autostima o facciano sentire non amati i giovani, spesso giocano un ruolo nella depressione. Un lutto non risolto, sia esso relativo alla morte di una persona cara, alla perdita di un amico o alla fine di una storia d'amore, é un fattore aggiuntivo. Molti giovani vivono eventi stressanti nella vita senza, tuttavia, sviluppare depressione. Come mai alcuni soggetti ne sono più sensibili?
Molti studi dimostrano che i fattori genetici giocano un ruolo importante nello sviluppo della malattia. Sembra che sia più facile diventare depressi se si hanno familiari che hanno presentato disturbi dell'umore.
Nuove e interessanti aree di ricerca si focalizzano sempre più sulla "biochimica della depressione". I ricercatori ora credono che la depressione possa essere causata da uno squilibrio d'alcune sostanze presenti nel cervello chiamate neurotrasmettitori. Quando il funzionamento di queste sostanze è alterato, può manifestarsi la depressione.
Non tutte le risposte sono purtroppo disponibili, ma la ricerca in questo campo é già sufficientemente avanzata ed ha portato alla messa a punto d'efficaci farmaci che alleviano la depressione, correggendo il malfunzionamento dei sistemi chimici che n'è alla base.
Per finire, ma certamente non è meno importante, bisogna aggiungere che droghe ed alcool sono spesso implicati nello sviluppo della depressione in soggetti d'ogni età.

Cominciare una cura
Molti giovani depressi possono beneficiare di una cura. Il primo passo, chiaramente, é prendere contatto con un professionista per confermare un dubbio, per trovare sostegno ed aiuto. Parlarne con il medico di famiglia é una buon'idea, visto che lui é già a conoscenza della storia della salute dei suoi pazienti. Assieme al giovane, la sua famiglia ed il medico possono arrivare a decidere quale tipo di trattamento sia idoneo.
Per alcuni adolescenti potrà bastare soltanto una serie di colloqui di sostegno, in cui talvolta sarà opportuno inserire la presenza della famiglia.
Per altri il medico di famiglia consiglierà una terapia farmacologica o deciderà di consultare uno psichiatra, per confermare una diagnosi dubbia e definire un più preciso programma di cura.

Come agiscono i farmaci contro la depressione?
Si chiamano antidepressivi i farmaci utilizzati nella cura della depressione. Sono ormai molti i farmaci che hanno dimostrato una notevole efficacia nel curare la depressione con sempre minori effetti collaterali.
Il tuo medico può scegliere tra diversi farmaci efficaci per la depressione. Questi farmaci hanno aiutato molte persone a controllare i sintomi ed a riprendere le normali attività quotidiane.
Gli antidepressivi possono essere utili nel correggere le alterazioni chimiche del cervello responsabili della depressione. Gli antidepressivi agiscono aumentando nel cervello la funzione svolta dai neurotrasmettitori quali la serotonina, la noradrenalina e la dopamina.
Le più importanti categorie di farmaci per la depressione distinguono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), gli antidepressivi triciclici (TCA) e gli inibitori della monoamminossidasi (IMAO).
Tutti gli antidepressivi richiedono dalle due alle sei settimane di tempo per migliorare i sintomi della depressione e l'attesa può essere a volte deludente e stressante, ma è molto importante non interrompere la cura. Commenta ciò che senti con il tuo dottore, che ti può aiutare a superare questo difficile periodo. Parla con il tuo dottore dei farmaci più indicati per te. Tutti i farmaci hanno effetti collaterali. Se gli effetti collaterali di un farmaco sono troppo problematici, dillo al tuo dottore. Ti aggiusterà la dose o ti prescriverà un farmaco diverso, più facile da tollerare. E' importante proseguire con i farmaci come indicato dal dottore, anche se ti senti meglio. Se smetti troppo presto potresti avere una ricaduta ed in genere una terapia farmacologica deve essere continuata per alcuni mesi prima di poter essere interrotta.

E la psicoterapia?
Sicuramente una terapia farmacologica è il primo indispensabile passo per iniziare a curare la depressione, soprattutto quando la malattia raggiunge un certo grado di sofferenza. Per alcune persone bastano i farmaci per curare i sintomi della depressione. Per altri, la psicoterapia in combinazione con una cura farmacologica aiuta a raggiungere una migliore comprensione dei sintomi, ad accettarli ed a superarli. La psicoterapia non è in grado da sola di controllare sufficientemente i sintomi della depressione e pertanto è indicata in associazione alla terapia farmacologica.
Può essere d'aiuto avere una persona di supporto per parlare durante un periodo difficile. I giovani in particolare possono trarre beneficio dalla terapia, ove hanno l'opportunità di esprimere i loro pensieri ed i loro sentimenti. Molti stanno meglio al solo sapere che non sono da soli nella depressione.
La psicoterapia può aiutare le persone ad imparare strategie per conoscere ed affrontare la depressione, ad identificare situazioni conflittuali e problematiche della propria vita che possono essere connesse con l'insorgenza della depressione.

Sentirsi meglio
Se sospetti che un adolescente che conosci sia depresso, o se credi di esserlo tu stesso, è importante che questi dubbi escano allo scoperto. Gli adolescenti depressi possono avere difficoltà a comunicare i propri stati d'animo o pensano che gli altri non li possano capire. E' quindi importante avere una buona dose di pazienza, sensibilità, attenzione e comprensione per potersi avvicinarsi ad un adolescente che ritieni possa soffrire di depressione. Quando qualcuno è depresso, è difficile che possa vedere "la luce alla fine del tunnel" ed è quindi importante trasmettere fiducia e speranza, parlandogli e spiegandogli bene che cosa sta succedendo e cosa si può fare.
Un trattamento efficace offre speranza. (da internet)