lunedì 27 luglio 2009

...Grazie piccole anime belle per avermi riempito il cuore

Ancora una testimonianza dall'ospedale di Gornja Bistra..

Da dove inizio?? mmmm...bè posso iniziare con il dire che il gruppo con cui sono partita era fantistico, che più strano e improbabile da mettere insieme non si poteva. Ma da subito, tra di noi è scattato qualcosa di particolare: era come se ci conoscessimo tutti da una vita, come se avessimo già fatto un viaggio insieme e questa dolce sensazione ci ha tenuto compagnia per tutta la settimana...anche durante gli imprevisti! ( il pulmino che magicamente ci chiude fuori (grazie ale davvero!) e la casetta che per poco va a fuoco).
...ora però arriva la parte difficile...
dunque..mmm....(ma quanto è difficile???????) al nostro arrivo, ad aspettarci in casetta c'era la referente, Cristina una ragazza tanto dolce e con la testa un pò tra le nuvole: pure con lei abbiamo avuto la medesima e reciproca sensazione di conoscerci già.
ovviamente è lei che ci ha fatto da "cicerone" all'interno dell'ospedale...
Non appena entrata in quel vecchio castello, i miei pensieri hanno iniziato a viaggiare velocissimi e si sono scollegati dal resto del mondo; durante quella settimana per me non c'è stato nient'altro.
Poi, mentre Cristina ci spiegava alcune cose, ho iniziato a dare una sbirciatina qua e la nelle camere e subito è nata la prima di una lunga serie di domande: che cavolo posso fare io per questi bambini??? la risposta è stata: NIENTE. ero disorientata davanti a quello che vedevano i miei occhi e non sapevo davvero cosa fare: la vera disabile ero io.
Poi, i bambini hanno fatto la magia: mi hanno reso cieca e i miei occhi non vedevano più nè handicap, nè deformità, ma solo piccoli angeli con una grande voglia di vivere e un profondo attaccamento alla vita. Cose che ha me ha trasmesso in modo particolare la mia ragnetta Kristina: con le sue piccole manine si attaccava forte al camice (o camicie? bo!) e non lo lasciava più... ed io non volevo lasciarla più!
Dopo pochi minuti passati in ospedale con i bimbi, ho capito che non dovevo fare niente, se non lasciarmi guidare dall'amore...che inevitabilmente, inizi a provare per questi "esseri speciali"...poi ogni cosa sarebbe venuta da sè.
E così è stato: ogni istante passato era un susseguirsi di emozioni...ogni loro piccolo gesto era un avvenimento e una festa per tutti noi (il piccolo Leo ha imparato a gattonare!).
In 7 giorni, mi sono resa conto che questi bambini, percepiscono ogni tua emozione e stato d'animo...e se penso al gesto che Tyson ha fatto sabato sera mi vengono i brividi: mi avevano appena portato via (mi hanno strappato la carrozzina dalle mani) la mia Kri, e mi era venuto da piangere...lui stava mangiando con Cristina, (la referente) ed io mi sono seduta vicino a loro..Tyson quando mi ha vista, ha allungato una manina e me l'ha passata sulla guancia....è stata un'emozione fortissima.
Ora porto dentro di me questo tesoro, che custodirò con gelosia.
Porto dentro i loro sguardi, i loro sorrisi, le loro grida, i loro silenzi....silenzi che raccontano il loro mondo. La vera missione in 7 giorni sono stati loro a compierla...sono riusciti a donarmi qualcosa di immenso...loro stessi.
ed io, cosa sono riuscita a donare a loro? non lo so...ancora non l'ho capito...
Quello che però ho capito è che ogni vita non è vana...MAI! che:
"...siamo noi gli inabili che pur avendo a volte non diamo..."

é stata un'esperienza bellissima...e ancora non faccio che pensarci...
Grazie piccole anime belle per avermi riempito il cuore....
Ritina

sabato 25 luglio 2009

..c'è sempre qualcosa da imparare!

Ecco la testimonianza di Giulia, ragazza in missinoe a Manaus con il gruppo Ra.Mi (www.ragazzimissionari.it).

UNA mattina come un’altra nelle assolate strade di Manaus, Amazzonia, Brasile.
Nel quartiere di Coroado il traffico a volte sembra scorrere intenso, neanche si fosse a Time Square: solo che a travolgerti non sono le mercedes o le fuoriserie di ricchi uomini d’affari occupati tutto il giorno ad accumulare soldi sulle spalle altrui, ma le carrette succhiabenzina che pochi fortunati si possono permettere per correre in qua e in là, cercando di lavorare furiosamente per arrivare a sera con qualcosa da mettere in tavola, sono i motorini scassati di quelli un po’ meno fortunati che si accontentano di girare il bairro, se tutto va bene, prima di celebrare le esequie del proprio mezzo di locomozione, sono le biciclette oppresse dal peso a volte di un’intera famiglia, che riescono a malapena a condurre una mamma e il suo figlioletto di nemmeno tre anni verso un asilo piccolo, bianco, ben curato, dove quattro signorine vestite di bianco e di azzurro lo cureranno amorevolmente fino a sera.

È finita un’altra giornata di duro lavoro per gli abitanti del bairro di Coroado, Manaus, Amazzonia, Brasile.
Il traffico che tutto il giorno imperterrito ha continuato a scorrere come un fiume in piena, come una corsa all’infinito alla ricerca di chissà che cosa, sta piano piano rallentando. Sono dei girasoli, questi brasiliani: il loro ritmo si accorda perfettamente a quello del Sole, e quando questi dà segni di stanchezza, e comincia ad avvolgersi molto velocemente di calde coperte rosse prima di sparire nella notte più buia, ogni occupazione giornaliera si volge lentamente al termine, e tutto ciò che è sole, che è ricerca, che è affanno e fatica di costruirsi attorno una Vita Migliore reclina il capo dolcemente, e lascia spazio alle attività notturne, quelle che si lasciano andare alla disperazione, al bisogno di calore, qualsiasi calore umano, al desiderio di fuggire da una situazione che non vuole cambiare, all’abbandono in tutto ciò che può sembrare un rifugio abbastanza gradevole.
Ma questa è la notte, è l’altra faccia del popolo che soffre ridendo, quando il sole è alto, e se si lascia andare è solo al coperto delle tenebre di una notte silenziosa, che saprà mantenere il segreto.

IN mezzo a tutto ciò c’è quel fugace momento, quello in cui una faccia del mondo passa il testimone all’altra, quella in cui il Sole comincia a cambiare vestito, quella in cui i ragazzini sono ancora per strada, a piedi, e tornano da scuola, senza troppa fretta perché chissà cosa li aspetta a casa, e allora perché non dilungarsi ancora in una risata, un gioco, uno scherzo rubato a quel tempo così piccolo quando ancora il giorno non è andato a dormire, c’è ancora tempo per giocare con un aquilone.
I ragazzini si mescolano all’ondata di persone che non hanno né carrette succhiabenzina, né carretti veri e propri, né motorini scassati, né biciclette piegate dal peso di tanta gente, ma semplicemente i loro piedi, a volte scalzi, altre muniti di ciabattine da quattro soldi, qualcuno chissà, forse con un paio di scarpe quasi vere.
Me ne sono accorta fin dai primi giorni della mia permanenza all’asilo delle suore di Madre Teresa, a Coroado: me ne sono accorta proprio durante uno dei miei lavori, che era quello di sistemare le scarpette dei bambini tutte in fila su un tavolinetto, pronte ad essere riconosciute dalle loro mamme una volta giunta l’ora di tornare a casa… i poveri non sono tutti uguali.

OGNI essere umano, da che mondo è mondo, ha la tendenza di semplificare i concetti che si formano nella sua mente, al fine di ricordarsene in grande quantità, e molto più facilmente: così ci sono i ricchi da una parte, e i poveri dall’altra.
Ma se io dicessi una cosa del genere a quella che era la mia vicina di casa, a Coroado, non mi capirebbe. Esistono numerose differenze anche tra quelli che noi banalmente chiamiamo “poveri”, e sono più esattamente indicate dal fatto di avere una casa in legno o in muratura, di abitare in un’invasione o in un bairro, di avere la porta o meno, di avere un letto e un fornello oppure no, di avere semplici sandaletti appuntati con una spilla per non fare uscire l’infradito, o delle scarpette chiuse che possano perlomeno dirsi indossabili… e via dicendo.
I poveri non sono tutti uguali.

QUEL pomeriggio, esattamente in quel momento della giornata dove tutto sarebbe cambiato da un momento all’altro e presto non si sarebbe più potuto dire “boa tarde” ma “boa noite”, stavamo aspettando esattamente come tutti gli altri giorni che le mamme venissero a prendere i loro piccoletti, dopo una giornata passata magari a cercare lavoro, con almeno la tranquillità e sicurezza che i loro cuccioli erano protetti ed erano stati nutriti, rivestiti, lavati come sempre, e che come sempre grazie alle cure delle suore avevano potuto passare una giornata giocando come ogni bambino, divertendosi, preparandosi ad accogliere la loro mamma con un sorrisone che le avrebbe ripagate di tutta una giornata di fatica passata a sudare sangue per il loro futuro.
C’è una finestrella, con delle sbarre per evitare che i bambini si facciano male, che dà al cortiletto circondato dalle mura e dal cancello: lì i bambini spesso si affacciano aspettando la mamma, e stanno sempre con il nasino all’insù, guardano sempre qualcosa nel cielo con un’attenzione esorbitante. I primi tempi non ci facevo molto caso, tutta presa dalle ultime cose da fare, pulire i bambini dalle briciole dei biscotti, rimettere a posto i pochi giocattoli, rifare i loro zainetti… Ma poi quel pomeriggio non potei fare a meno di dar retta alla mia curiosità, e cominciai ad osservarli molto attentamente, per cercare di capire di che cosa quei bambini si stavano così meravigliando.

GLI AQUILONI, c’erano gli aquiloni nel cielo, quelli dei ragazzi che tornavano da scuola, che loro non avrebbero avuto mai forse… i bambini si incantavano a vederli fluttuare nel cielo, desideravano anche loro averne uno, allora si inventavano un gioco, e la loro fantasia li aiutava a realizzare almeno per finta un loro piccolo grande sogno. Con la creatività di chi non ha niente ma non può disperarsi, perchè è solo un bambino, questi piccoletti cominciavano ad agitare le manine come se questo aquilone fosse diretto proprio da loro, e si divertivano così, fingendo di godere di un piccolo privilegio che la loro condizione non gli permetteva. Così sembrava proprio che l’aquilone fosse loro, così la cosa non arrivava a saturare i loro pensieri, magari a tormentarli e a far tormentare la mamma di capricci inutili anche perché irrealizzabili, e forse per questo più frustranti.
No, la cosa non poteva essere di loro possesso, ma non per questo si impossessava di loro…
E questo è un comportamento diffuso, che ho visto fare molte volte da tanti bambini anche un po’ più grandi, questo gesto così tenero di far finta di avere un aquilone di qualcun altro, e di dirigerlo con quelle manine verso il cielo… quante volte l’avrò visto fare per le strade di Coroado, e non solo!
E quanto da imparare ancora!

martedì 21 luglio 2009

Non è semplice imparare a volare...ma si può!


Eccomi qui, più o meno riposata, dopo un camposcuola con 53 fantastici e terribili ragazzi. Sono passati solo due giorni e già mi mancano i loro sorrisi, le loro battute, le camerate in disordine, il caos di notte e il sonno durante il giorno, i giochi, i pianti. Sono tornata stanca perchè è stato un camposcuola molto impegnativo a causa del numero ridotto degli animatori e tutti giovanissimi, ma ne è valsa la pena!

Il filo conduttore di tutto il campo è stata la storia della gabbianella e il gatto...una storia un pò "antica" se vogliamo, ma che dona sempre nuovi spunti per riflettere. Tante sono le domande che hanno spronato noi animatori e ragazzi...e come sempre ad alcune non c'è risposta.

Quanto amiamo le persone che ci stanno accanto? Sentiamo il bisogno di avere qualcuno vicino? Siamo disposti a rinunciare a qualcosa per aiutare o far contenti altri? Sentiamo di appartenere ad una comunità e nello stesso tempo sentirci unici? Abbiamo dei sogni che vorremmo a tutti costi realizzare?.....Quanto amiamo la nostra vita?

Non a caso ho messo per ultima questa domanda. Tornata dal campo ho appreso la notizia che la mamma di Gabriele (ne ho parlato in un post precedente) è volata in cielo. Appena ho ricevuto la notizia mi sono pietrificata, poi ho capito che per lei, l'amore verso suo figlio, lo stare con lui e stato più grande del suo desiderio di vita, che ormai non aveva più significato senza quel figlio tanto amato. Una frase è stata scritta: assieme, adesso come prima e per l'eternità. Mi auguro che questi due angeli veglino da lassù sulle mamme e sui figli che hanno perso il loro grande amore, donandogli la forza di sorridere ancora alla vita, nonostante tutto.

mercoledì 1 luglio 2009

Uomini sotto le stelle...persone che cercano amore!


Esperienza forte è stato anche un servizio alla mensa dei poveri romana della comunità di Sant'Egidio. E' indescrivibile ciò che ti viene donato e ciò che resta anche nel cuore degli altri volontari. Di seguito c'è una testimonianza di un volontario che ha trascorso con me quei giorni.

In questi giorni dal mio ritorno da Roma, ho pensato e penso ancora all’esperienza fatta! È stata un’esperienza meravigliosa… tra le più belle che ho mai fatto! Come ho detto domenica mattina nel momento di condivisione, mentre svolgevamo il nostro servizio, non mi son preoccupato tanto di farlo alla luce della Parola! Soprattutto la sera, quando eravamo in mensa la mia unica preoccupazione è stata quella di svolgere al meglio il compito che mi era stato assegnato. Forse per carattere! Quando faccio qualcosa che riguarda gli altri tendo sempre a farla bene! Però di una cosa sono certo, mentre ero lì a servire, involontariamente la mia prima preoccupazione è stata di porgermi con un sorriso a tutte le persone che si sedevano a quel tavolo! Non lo so, ma dentro me, nonostante la consapevolezza che quelle persone erano li a cercare un pasto, sentivo che forse la prima cosa che dovevo donargli era un sorriso! Un qualcosa che li facesse sentire ben accetti, non visti e fatti sentire come emarginati… E poi ho ancora nella mente l’immagine di quella bambina seduta li a quei tavoli! Ho avuto la “fortuna” di non averla seduta al mio tavolo! L’ho vista sola per un attimo…però ricordo di essermi chiesto e chiesto a chi era di fianco a me: “ma come ci sta anche una bambina…?” non mi è venuto niente altro in mente… non pensavo di poter incrociare li anche una bambina… mi ero dimenticato che la povertà non sta a guardar la carta di indentità… e che anzi sono propri i bambini ad esser le prime vittime…

Penso spesso all’egoismo che ci circonda! Alla gente che molto spesso pensa solo a se stessa, al proprio egoismo, alle proprie comodità occupando od ostruendo per esempio il passaggio ad un disabile! Fregandosene degli altri e magari calpestandoli!!! Tornando da Roma mi è capitato di pensare ancora a tutto questo! Mi son reso conto che indifferente lo sono stato anch’io! Venerdì, prima di venir da voi, girando per Roma di poveri ad elemosinare ne ho incrociati, eppure mi son passati di fianco quasi indifferentemente, come se nulla fosse! Forse perché non avevo nulla da dargli, o forse perché nel vederne tanti alla fine l’ occhio ci si abitua!!! Eppure li ho evitati e chissà quante altre volte lo farò!
Eppure quel servizio dato alla comunità e alla mensa mi ha riempito! Forse perché li ho dato qualcosa che, al contrario di qualche spicciolo dato per carità, sento più mio: il mio tempo e il mio donarmi!!! Forse perché per me donare è normale! Quando qualcuno mi chiede un favore trovo più facile dirgli di si anziché no!

Dell’ esperienza vissuta in qui giorni, porto anche dentro me quanto è stato bello vivere l’esperienza del servire il prossimo e di condividere tutto ciò con persone magnifiche… alcune delle quali non avevo mai visto e con le quali mi son trovato subito a mio agio! Quasi ci conoscessimo da prima! Forse è tutto qui il segreto dell’amore: donarsi e condividere tutto con l’altro…
Tra le varie immagini che ho impresse nella mente ci sta proprio quella di noi alla mensa indaffarati e a volte impacciati dinnanzi ad una realtà che non era la nostra! Il cercare aiuto nello sguardo e nel sorriso di ognuno di noi, quando soprattutto all’inizio non sapevamo da dove iniziare e dove andare… e in tali sguardi, nei sorrisi, nella gioia e nell’entusiasmo che ognuno di noi aveva, trovare la voglia di far la propria parte indipendentemente del risultato… tra le varie fotografie scattate nella mia mente questa è una di quelle che più difficilmente scorderò…
In questi giorni ho elaborato l’esperienza fatta alla luce della Parola! Molto spesso si dice che Gesù lo si trova negli altri. Marianna mi hai scritto “...Negli occhi degli altri riconoscerò i Suoi occhi e
sarò solo lo strumento del Suo Amore!” Io il Signore non l’ho incontrato negli occhi e nei gesti di quelle persone che cercavano un pasto caldo, ma in tutti voi…nei vostri gesti nel vostro donarvi agli
altri…nelle sensazioni scambiateci… Mi è tornato alla mente quel brano del vangelo in cui Gesù dice “avevo sete e mi avete dato da bere, fame e dato da mangiare, nudo e mi avete vestito…” “…ogni volta che avete fatto questo a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me...” e quel sabato sera è stato proprio così!

Ecco questa è la mia testimonianza! Lo so, non è nulla di particolare, ma ho sentito il desiderio di comunicarla a te e a tutta la comunità. Forse perché ogni esperienza un qualcosa lo lascia sempre...

grazie ancora di tutto
Francesco